Così rinasce Félicité, gran voce d’Africa e madre coraggio

In Cinema

Il regista franco senegalese Alain Gomis costruisce un intenso e coinvolgente ritratto di donna, grazie a una straordinaria protagonista, la vocalist congolese Véro Tshanda Beya, al suo debutto nel cinema. E il film, che ha vinto l’Orso d’Argento all’ultimo Festival di Berlino, apre la stagione 2017-2018, segnando uno dei rarissimi casi di uscita in Italia di film africani di qualità

Nell’assoluto deserto distributivo di film africani in Italia, imparagonabile con quanto avviene a Parigi o Londra, Félicité del 45enne francese Alain Gomis, di padre senegalese, costituisce una piacevole eccezione: “lanciato” a primavera dal Festival milanese del cinema d’Africa, Asia e America Latina, e presentato poi al cinema Oberdan quest’estate in una sorta di ripetuta anteprima, esce ora sul piano nazionale, offrendo un’interprete, cinematografica e musicale di grande fascino e talento, Vero Tshanda Beya (congolese come gli altri due principali caratteri del film) che interpreta una storia familiare e sociale ambientata nella sua città, la coinvolgente, partecipe, Kinshasa.

Félicité è una cantante molto apprezzata, ma nel locale dove si esibisce i clienti sono più intenti a litigare che ad ascoltarla. Tra questi c’è Tabù, un uomo apparentemente senza qualità, che sta andando alla deriva: ma sarà lui a prendersi cura della donna e del suo bel figliolo adolescente (che lei finora ha cresciuto tutta da sola) quando un incidente di moto e la sciagurata inettitudine dei medici lo ridurrà senza una gamba. Tanto da trasformarsi, con gran sorpresa di Félicité e del ragazzo, in una quasi credibile figura maritale e paterna.

Ma è certamente il ritratto di lei, ben delineato sul piano fisico e psicologico, a tenere lo schermo, quello di una donna che affronta sciagure esistenziali e materiali accettando anche le proprie debolezze, e il suo bisogno di chiedere aiuto. Gomis serve con passione discreta la storia e la sua protagonista, colma di grazie e fierezza insieme, che per tutta la vita ha combattuto con successo ma di fronte alla sorte segnata del figlio sembra sul punto di soccombere, finche “decide di ritornare alla vita”, per usare le parole dello stesso regista.

Il film ha poi senza dubbio anche pretese altre, campi di indagine a approfondimento ulteriori, non sempre altrettanto compiuti, dalla storia e realtà sociale del Congo, compresi i suoi risvolti letterari a qualche accenno di riflessione sulla realtà musicale africana d’oggi, nei suoi aspetti vocali e orchestrali. Ma quando lei è sul palco, i problemi, individuali e sociali, della vita quotidiana, che pure abbiamo conosciuto durante il film, sembrano sparire per lei e per il pubblico (dei club dove canta e dei cinema dove si vede sullo schermo), subito disposto a lasciarsi trascinare dalla sua voce intensa e coinvolgente.

Grazie a una troupe interamente africana, tra cui spicca la direttrice della fotografia Celine Boson, Félicité si fa apprezzare per il suo stile diretto, a tratti quasi documentario, per il suo aggirarsi nelle strade buie e notturne di Kinshasa, riprendendo i personaggi con primissimi piani, soprattutto nella parte centrale, quella più realistica ed efficace del film, che invece un po’ scende in qualche sequenza onirica.

Poi c’è una colonna sonora raffinata, in cui campeggia una composizione di Arvo Pärt eseguita dalla Symphonic Orchestra di Kinshasa, insieme ai song del collettivo multigruppo Kasai Allstars, veri co-protagonisti del film. Formatore di filmaker in Africa, oltre che regista, grazie a questo suo quarto film Gomis ha avuto un riconoscimento internazionale di primo piano, l’Orso d‘Argento, gran premio della Giuria a Berlino 2017. Decisamente meritato.

Félicité, di Alain Gomis: con Véro Tshanda Beya, Papi Mpaka, Gaetan Claudia, i Kasai Allstars

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