Le fantasmagorie di Matteo Cremonesi. Un canto semplice.

In Arte

Ultimi giorni da Banquet Gallery a Milano per Fantasmagorie, la personale di Matteo Cremonesi che presenta una raccolta di oggetti, manufatti e immagini attraverso le quali l’artista anima un universo di segni, narrazioni e pratiche compositive legate all’universo ancestrale. Un interrogativo sulla sopravvivenza e sull’oscuro ritorno di impressioni, storie e simboli, e sulla loro capacità di innestarsi nel tessuto contemporaneo. Un territorio incerto di apparizioni e spettri di cui Francesca Greco ci racconta, con sguardo lirico, il canto semplice in tre atti.

I
Mi guardo guardare. Per ricordare le sensazioni, le contrazioni, le eviscerazioni. Mi guardo guardare e rispettare la dignità del mio sguardo e del tempo necessario al mio occhio per comprendere effettivamente in che mondo sono appena finita. Mi risuona una voce*. “Queste sono immagini sudate” mi dice. La sensazione è quella di essere circondata da suoni che non riconosco ma so essere animali: scricchiolii, gracidii, movimenti rapidi di chi fugge. Alle mie spalle il nulla, davanti a me il buio. La voce mi dice “la base di queste immagini è nera, sono immagini che vedi un po’ in ombra, quello che vedi non è mai riconoscibile del tutto, hanno un carattere ambiguo, in transizione”. Sono perfettamente cosciente di avere un quadro davanti, eppure me lo trovo tutto intorno, perde le linee definite, la bidimensionalità, per ingurgitarmi e risputarmi senza troppi salamelecchi. Mi sento come queste ossa appese, ho perso la pelle e i muscoli e sono stata ripulita come quelle nel cappello, un contenitore che adesso fa sentire al sicuro anche me. La voce mi dice “quella è una volpe rannicchiata”. Nel mio essere ossa, perdendo dunque le mie caratteristiche peculiari, diventando un po’ volpe, mi muovo più liberamente e danzo al ritmo dettato da queste piccole sculture nere a terra. Cantano un canto semplice: uh uh, ah ah!! E provo la gioia di un ritmo arcaico, antico, misto a un sentore popolare. Della possibilità di non abitare più il mio corpo ne faccio un espediente, sciolgo gli ostacoli della pelle e dei muscoli: chiamo questo processo ossificazione. Così, ballo. Uh uh, ah ah!! Ballo perché a rapirmi non sia solo l’oscurità, ma i dettagli, un archivio sconfinato a cui queste immagini mi riportano, ballo al ritmo di Dürer, di Antonello da Messina e di Bacon. La voce mi dice “c’è una sopravvivenza del sacro, nulla si perde ma si mutua”. Ballo al ritmo del perpetuarsi delle cose, della loro ciclicità, sono cerchio d’ossa.

Scream #10, 2023, olio e tecnica mista su tela stampata


II
La danza viene interrotta da due occhi gialli che mi fissano. La sospensione mi riduce a un mucchietto d’ossa, una sensazione piacevole, al contrario di quello che si possa pensare, una sorta di riposo dopo il movimento frenetico, in cui non sono più io a osservare, ma vengo osservata: una contro-visione. La voce mi dice “pensa che questo è il primo, il primo ritratto, il rigurgito nero, macabro, ancestrale: c’è qualcosa che non va. È petrolio”. Scricchiolii e gracidii si placano e il tempo del canto si allunga e si fa sottofondo, uuuh uuuh, aaah aaah… Inizia così uno stato di trance, in cui la conversazione visiva si fa con una lingua remota. Quelli a scrutarmi sono occhi antenati e, nonostante siano entrambi sinistri – e per definizione nella credenza antica gli auspici provenienti dalla parte sinistra sono di cattivo augurio, avversi, infausti – capisco che sono messaggeri buoni, forse un po’ stanchi del carico del tempo, ma buoni. Mi lascio sedurre da questo momento, ascoltando quello che hanno da dirmi e dal mucchietto d’ossa che sono riemergono i miei occhi ed è così che ci riprendiamo il nostro tempo, guardandoci a vicenda. La voce mi dice “l’unica cosa che sopravviveva a questo arcaico erano gli occhi, che erano gli stessi nostri, erano gli stessi di un pescatore, di un alpinista”.

Idol #1 – Mask, 2024, tecnica mista, ossa, lacci di metallo, scarpe da ginnastica

III
La voce non smette di parlarmi, sono io che smetto di ascoltarla, affidandomi al dialogo sommesso tra me e le opere.
Così cambia il registro: il mio metodo di registrare il mondo in cui sono immersa si trasforma insieme al mio modo di osservarlo. Il mio mucchietto d’ossa varia ancora e si appende alle pareti, come un Luster, divento un ibrido metà ossa, metà polena. Mi immedesimo nelle sculture appese alle mura, mi infilo in una scarpa smembrata e mi appendo e come il Luster mi illumino e scruto ciò che mi sta attorno, essendone parte integrante. Decido di passare la notte così e forse i giorni avvenire, cercando di non intercettare gli occhi sinistri, ma sentendone chiare le storie. Quello che di certo rimane è il canto degli idoletti neri, a volte un sottofondo a volte canto pieno, un canto semplice: uh uh, ah ah!

Head Trump, 2023, argilla dipinta con pigmento e inchiostro, dimensione variabile


*la voce che cito nel testo è quella di Matteo Cremonesi, che mi ha accompagnato per la sua mostra e che ho deciso di portare con me nel testo, un po’ parafrasato. Lo ringrazio per la gentilezza e per questo dialogo, che è stato determinante per la scrittura.

Matteo Cremonesi, Fantasmagorie, Banquet, Milano, fino al 13 luglio 2024

In copertina: Mask (dettaglio), 2024, tecnica mista, ossa, lacci di metallo, scarpe da ginnastica

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