Il protagonista del 2017 non è neanche più Trump, ma è il movimento che ha scatenato e che noi femministe pensavamo fosse assopito: e l’augurio per l’anno che viene è che in tanti facciano sentire forte la propria voce e la propria voglia di cambiare
Il termometro oggi segnava meno diciannove gradi. I meteorologi parlano incessantemente di record delle temperature basse mai registrate prima. A New York la preoccupazione è che migliaia di persone saranno per le strade attorno a Times Square e che le temperature artiche causeranno non pochi geloni e ferite dal freddo.
Sembra un po’ una metafora di quest’anno americano, congelato sotto la terribile amministrazione guidata da Donald Trump, iniziata a gennaio e ancora in piedi malgrado il Russiagate e gli occhiolini a Putin, malgrado le battutacce fatte sulle donne, sui disabili, sulle minoranze, malgrado l’appoggio a gruppi neonazisti e di white supremacy e a politici pedofili e fondamentalisti, malgrado il tentativo di bloccare l’entrata in questo Paese a persone provenienti da paesi tutti musulmani (“ma è un caso…”), malgrado le bugie, i sotterfugi, i licenziamenti in tronco delle persone che hanno osato criticarlo, malgrado i tweet volgari e ignoranti che volano in Internet ogni giorno. Malgrado una possibile guerra nucleare. Malgrado dichiarazioni su Gerusalemme capitale di Israele, con conseguente voto contrario dell’Onu e conseguente ritiro di fondi da parte degli Stati Uniti (“La pagherete per questo voto”). Per non parlare del vero dramma, e cioè delle riforme ingiuste e spaventose, tipo quella fiscale, passata pochi giorni prima di Natale, e della paura di quello che verrà dopo.
È stato un anno americano estremamente deprimente e difficile, che ha messo in mostra una realtà statunitense che non sapevo esistesse, oppure che avevo fino ad ora cercato di evitare a tutti i costi. Cosa pensavamo, noi liberals, che davvero tutti gli americani fossero dalla parte degli omosessuali, o dei disabili o delle minoranze? Dopo anni passati a vantarmi di far parte di una cultura così avanti rispetto a quella stagnante dell’Europa, adesso non mi resta che mettermi in un angolino e sperare che nessuno si ricordi di me o di diventare invisibile, almeno per i prossimi tre anni, quando questo incubo agghiacciante finirà.
Eppure se per un istante riuscissi a smetterla di lamentarmi, potrei anche apprezzare un aspetto straordinario che questa situazione devastante ha provocato: un movimento di milioni di donne che in coro sta urlando BASTA. Sono tutte incazzate, compatte e pronte a incitare e a incoraggiare chi fino ad ora ha avuto paura di denunciare anni di misoginia: dalla battuta sulle tette fatta dal capo, ai ricatti sul lavoro, all’uso del potere per ottenere favori sessuali, fino allo stupro. Le donne hanno alzato la testa (e a volte anche il dito medio) a Trump fin dall’inizio della sua amministrazione, quando due giorni dopo il giuramento, sono scese a milioni in piazza con i cappellini rosa a forma di utero in testa a denunciare l’atteggiamento schifoso nei loro confronti. Lo dissero allora e non hanno ancora smesso di spiegare a tutti che loro a questo gioco di potere non avrebbero più voluto partecipare. Ci hanno mostrato un lato schifoso degli uomini non solo nel mondo della politica, ma anche nel mondo del cinema, della radio e della televisione, nel mondo della musica e in quello accademico fino ad arrivare alle cucine di McDonald’s e ai manager di motel infimi ai lati delle strade periferiche di questo enorme paese.
Alla fine, dunque, il protagonista del 2017 non è neanche più Trump, ma è il movimento che ha scatenato e che noi femministe pensavamo fosse assopito. E nel mio piccolo, sono riuscita a sentire un certo riscatto, non soltanto come donna che, come quasi tutte, è stata vittima di molestie o ingiustizie, ma anche come madre, perché sono riuscita a intavolare discussioni importanti con le mie due figlie, una ormai al college e l’altra undicenne e curiosa, e a spiegare che anche loro prima o poi avranno a che fare con persone che cercheranno di farle sentire meno forti o meno intelligenti di quello che sono, ma che forse la voce di milioni di donne che in coro hanno detto basta potrà servire loro per reagire e per andare avanti per la loro strada, forti e sicure come dovrebbe essere da sempre.
Ho insomma spolverato tutti i miei discorsi femministi sul potere che la società ha su di noi, che ci crede ancora le più docili e materne, le più idonee per stare a casa con i figli e felici di rinunciare a anni di soddisfazioni personali nel mondo del lavoro o comunque nella sfera personale. Ho ricordato loro di non mollare mai, neanche quando si trovano davanti a una bestia molto più grande di loro, perché anche Davide l’ha avuta vinta su Golia e che di persone come Davide è pieno il mondo.
Non vorrei sembrare troppo speranzosa: so benissimo che la situazione politica è drammatica, malgrado le denunce delle donne e che per quanto sia incoraggiante, non è che una piccola onda in un infinito mare di schifezze. Eppure a qualcosa bisogna pure attaccarsi, altrimenti diventa davvero difficile trovare la forza di sopportare altri tre anni così.
La mia speranza per il 2018 è che altri gruppi comincino ad alzare la testa e a dire basta, che anche chi non è mai stato vittima di misoginia, o omofobia, razzismo o emarginazione e altre schifezze trovi la volontà di fa sentire la propria voce e di dare segnali di esasperazione e voglia di cambiare. E, nel mio ineluttabile ottimismo, penso che qualcosa di importante stia avvenendo proprio sotto i nostri occhi, qualcosa di grandioso e strepitoso. Penso anche che Trump sarà ricordato come il presidente più imbarazzante degli Stati Uniti.
E sono certa che dopo questo gelo, tornerà la primavera.