In “Lezioni di persiano” il regista ucraino-canadese colloca in piena tragedia degli ebrei la relazione paradossale fra Gilles, internato per sospetti razziali che s’inventa professore di farsi e il comandante nazista del campo Koch, che sogna per sé un futuro da ristoratore a Teheran e deve imparare la lingua. Una farsa individuale che non ignora il dramma collettivo, ben recitata, non priva di furbizia
Lezioni di persiano dell’ucraino naturalizzato canadese Vadim Perelman (La casa di sabbia e nebbia, nominato all’Oscar 2003) rappresenta una peculiare anomalia tra i racconti della Shoah: ispirato da una storia vera, racconta di un prigioniero terrorizzato (Nahuel Pérez Biscayart) che accetta di insegnare il persiano, una lingua che non conosce ed è quindi obbligato a inventare, a un impaziente comandante di un campo di transito nazista (Lars Eidinger), nel tentativo ingegnoso di sopravvivere. Il risultato è un mix tra una straziante tragedia umana e una commedia assurda. Il film genera risate costanti fino alla sua devastante conclusione, che provoca una profonda reazione emotiva.
Eppure, nonostante tutti i suoi punti di forza tecnici, specialmente la colonna sonora, la scenografia e i costumi, il film sembra fraudolento, a tratti quasi farsesco, rimodellando gli stereotipi su tedeschi, ebrei e perfino su un evento che ha mietuto le vite di tanti. Tuttavia, è straordinariamente ben interpretato da Biscayart ed Eidinger, che salvano quella che avrebbe potuto essere un’impresa di cattivo gusto. Biscayart, in particolare, offre una delle più profonde interpretazioni riguardanti l’Olocausto da quando Adrien Brody è apparso ne Il pianista, quasi due decenni fa.
Nel film viene presentato come Gilles, figlio di un rabbino di Anversa, e il pubblico può decidere se sembra ebreo o persiano o belga o altro: così come devono fare due soldati nazisti, Max (Jonas Nay) e Paul (David Schütter), dopo che il giovane terrorizzato sopravvive a un plotone d’esecuzione. Solo pochi istanti prima, Gilles aveva scambiato un panino con un libro di leggende persiane, che ha usato come prova per affermare di essere stato identificato erroneamente come ebreo. Per fortuna il comandante del campo più vicino, un belligerante ma raffinato tedesco di nome Koch (Eidinger) cerca un persiano: era stato uno chef prima della guerra e sognava di trasferirsi a Teheran per aprire un ristorante quando sarà finita. Ha bisogno, quindi, di imparare il farsi, in modo da poter parlare correntemente quando sarà il momento.
Questa è una base poco credibile ma ancora accettabile, anche se non è del tutto chiaro perché Gilles, che si presenta come Reza, deve continuare a restare imprigionato e trattato come uno schiavo, se Koch ha creduto all’inganno e lo prende come tutor. Sono anche confuse le ragioni per cui Max, il soldato che Koch ha premiato per aver trovato un persiano, sembra così determinato a smascherare o addirittura uccidere il presunto impostore, quando la cosa sarebbe svantaggiosa anche per lui. Sotto questi aspetti, Lezioni di persiano (visibile dal 14 al 17 gennaio sulla piattaforma online #Iorestoinsala cade in una trappola del genere cinematografico per cui ricicla i vecchi cliché del tedesco cattivo e del prigioniero ingegnoso.
Perelman è inoltre obbligato a inserire vari altri nazisti cattivi, creando così una situazione in cui Koch può potenzialmente redimersi, pur continuando a comportarsi con modi offensivi: il comandante avverte costantemente Gilles che non tollera l’inganno e che sarà giustiziato se mai dovesse essere scoperto a mentire. Queste sono strategie efficaci per costruire la tensione, ma l’autore sembra ignorare il fatto che insegnare un linguaggio immaginario richiede ben più che inventare e memorizzare parole senza senso. Una lingua è più di un semplice lessico, anche la grammatica, la fonetica, la sintassi e la semantica contano, e il film non spiega mai in modo convincente come Gilles riesca ad aggirare questi problemi.
Nonostante le violenze orribili che accadono ai prigionieri nel campo, siamo destinati a ridere mentre Koch recita il vocabolario inventato da Gilles. Perelman avrebbe potuto spingere ulteriormente gli elementi satirici, ma invece chiede al pubblico di accettare che Koch sia così ingenuo da credere a ciò che sta imparando. Sembra che il regista non voglia che prendiamo le lezioni di persiano così letteralmente. Il suo vero obiettivo non è la lingua, ma i nomi, le migliaia di vittime dei nazisti le cui identità vengono mostrate bruciando nei titoli di testa. Il regista torna a quel motivo nel finale innegabilmente potente del film, che fa venire i brividi lungo la schiena, mentre una folla di personaggi reagisce al successo di Gilles.
Lezioni di persiano di Vadim Perelman, con Nahuel Pérez Biscayart, Lars Edinger, Jonas Nay, Leonie Benesch, Alexander Beyer, David Schutter