60 anni on the road

In Letteratura

Il 5 settembre 1957 usciva per la prima volta “Sulla strada” di Jack Kerouac

Ci sono scrittori che sono attuali, anzi necessari, proprio perché inattuali rispetto al nostro presente. Nella loro alterità ci indicano una strada possibile in periodi di totale confusione. Eppure nella loro diversità, nella loro lontananza dall’oggi questi scrittori sono attuali, non tanto perché il mondo che descrivono e il modo in cui lo fanno è rimasto immutato, ma perché le loro parole mi riguardano, ci riguardano. Sulla strada di Jack Kerouac ci riguarda perché non è il romanzo del come eravamo, ma del come potremmo essere. Quello di lui che ci è ancora necessario è la spericolatezza della scrittura, i rischi che continuamente si prende per inventare una nuova lingua letteraria attraverso cui entrare nel suo mondo interiore fatto di ricerca spirituale, senso assoluto dell’amicizia, curiosità, ma anche un mare di disperazione.

Sono passati sessant’anni dalla prima pubblicazione in America di On the road: era il 5 Settembre del 1957, ma il libro non è invecchiato di un giorno: è il racconto epico dei tempi moderni che ci invita a restare umani. In Stavolta veloce: Jack Kerouac e la composizione di Sulla Strada  Howard Cunnell scrive che «Assai più che una guida per hipsters Sulla strada è una ricerca spirituale… gli interrogativi che si pone sono gli stessi che ci tengono svegli la notte e scandiscono i nostri giorni. Che cos’è la vita? Cosa significa essere vivi mentre la morte, lo straniero velato, è ai nostri calcagni? Dio ci mostrerà mai il suo volto? Potrà la gioia togliere di mezzo le tenebre?».

Kerouac aveva già scritto sei dei suoi capolavori più importanti prima di veder pubblicato Sulla strada nel 1957, dopo aver “normalizzato” il testo per renderlo più accettabile al mercato editoriale.  Concepire questo romanzo, per Kerouac, significava anche concepire un nuovo modo di raccontare. Doveva essere la scrittura dei tempi moderni, così come il jazz di Dizzy Gillespie e Charlie Parker era la musica dei tempi moderni e l’espressionismo astratto di Jackson Pollock la pittura dei tempi moderni. Tra i giovani artisti americani di quegli anni la coscienza umana stava diventando la protagonista della loro arte. Attraverso i fatti, i luoghi, i personaggi, si raccontava direttamente la condizione della mente umana, la vita interiore dell’anima. Dall’esterno di sé si andava a raccontare l’interno di sé, senza mediazioni, tentennamenti, censure. Kerouac voleva raccontare l’America dei “battuti e beati”, l’America dei giovani emarginati del secondo dopoguerra. Per fare questo lavorando indefessamente trovò una nuova scrittura. Inventò la Prosa Spontanea che teorizzò nei saggi contenuti in Scrivere Bop, e in una miriade di articoli pubblicati sulle riviste dell’epoca.  La Prosa spontanea è il raccontare la vita mentre accade. È l’unità di mente e corpo mentre agiscono. È il tentativo, per l’essere umano, di tornare a quell’unità originaria e innata di corpo e spirito che la società tiene separati.

Dopo aver scritto il romanzo La città e la metropoli, Kerouac iniziò a provare insofferenza e insoddisfazione per lo stile dei Tom Wolfe e dei William Saroyan, cui aveva guardato fino ad allora. Qualcosa macinava, fermentava e maturava nelle sedute alla macchina da scrivere che duravano tutta la notte; c’era un sotto testo, un altro testo che stava sbocciando nella mente di Jack e che avrebbe dato luogo all’invenzione della tecnica dell’improvvisazione nella scrittura. Kerouac inizia allora a cercare modelli anche al di fuori della letteratura. Guarda, prima di tutto, al Bop, suonato dai musicisti nei locali di New York come il Minton’s, dove Jack era solito ascoltare Dizzy Gillespie, Charley Parker, Thelonious Monk, Lionel Hampton. Il rovello era creare una forma di scrittura che riesca a ricreare tutta quell’energia, quel sudore, quella fatica, quella bellezza che sembra nascere solo da se stessa e che non è scritta in nessuno spartito, ma sboccia lì improvvisata sul palco. Come fare tutto questo divenne un’ossessione. Un’ossessione che inizia a essere creativa anche grazie alla lettera di 40 pagine scritta dal suo grande amico Neal Cassady. Quella lettera di migliaia di parole era un grande, immenso unico paragrafo che parlava della strada, delle sale da biliardo, delle camere d’albergo e delle prigioni di Denver. Ed è allo stile e al contenuto di questa lettera di Cassady che si ispirano le storie raccontate in Sulla strada. Senza quella lettera e senza i viaggi su e giù per l’America fatti a fianco di quel grande affabulatore che era Neal, Kerouac non sarebbe diventato lo scrittore che conosciamo. Quel cowboy delle strade d’America divenne non solo suo amico, ma soprattutto suo mito idealizzato, musa ispiratrice di una parte consistente della sua produzione letteraria.

In Kerouac la scrittura non ha lo scopo di raccontare una storia, non c’è trama, plot, struttura, scaletta, capitoli, cronologia, filo logico. La scrittura ha una funzione completamente diversa, quella di svelamento, di confessione, di estremo inutile tentativo di «confessare tutto a tutti»; questo suo bisogno disperato di confessione aveva lo scopo di vedere dietro il peccato Dio. Questa fu la sua grande presunzione, ma presunzione giusta, quella di dare alla scrittura una funzione spirituale tramite il romanzo.
Questo nuovo modo di scrivere fu fatto proprio da Allen Ginsberg che lo trasferì nella poesia. Intorno a lui e a Kerouac si formò una cerchia di amici, come Burroughs e Corso, il cui interesse principale era lo scrivere, fare bisboccia, viaggiare, frequentare donne e locali; tutte esperienze che diventavano la fonte di inspirazione principale di quello che  essi avrebbero fatto confluire nella loro scrittura. Questo fu la beat generation. Un gruppo di amici che insieme cercarono e trovarono un nuovo modo di scrivere. Al di fuori delle università, delle accademie, dei circoli culturali, delle lobbies letterarie. È questo uno degli aspetti principali, e soprattutto è qui l’attualità di Sulla strada: cercare la scrittura dove la scrittura non è, nelle strade, nelle persone che vediamo per caso, fuori di noi quindi, ma per fare risuonare tutto questo dentro di noi e vedere cosa succede a scriverlo.

 

Foto di Copertina by Sebastien Gabriel

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