La sagacia tagliente di Natalia Ginzburg in due testi teatrali tragicomici, in cui amarezza e ilarità si fondono e confondono
Nanni Moretti, alla sua prima regia teatrale, sceglie due testi poco conosciuti di Natalia Ginzburg, da poco ripubblicati da Einaudi nella collana Collezione di teatro, e li mette in scena come microcosmi di vita capaci di farci ridere, piangere e infuriare allo stesso tempo. Lo spettacolo Diari d’amore, infatti, in scena al Piccolo Teatro Grassi fino al 26 novembre, è un raro esempio di parole ben calcolate e regia teatrale in grado di tradurre sul palcoscenico la vita intima suggerita dall’autrice.
Ginzburg ha una scrittura delicata ma precisa, che mette in risalto le ferite nelle vite dei suoi personaggi senza scadere mai nel melodramma ma, anzi, enfatizzando la pigra normalità della solitudine in cui ciascuno di loro si ritrova intrappolato.
Dialogo e Fragola e panna raccontano entrambi, seppure in modo diverso, il fallimento di uno, o più, matrimoni; nel primo caso ponendo l’accento sulla coppia in crisi, nel secondo caso sullo stadio successivo alla crisi, quello dell’indifferenza. In entrambi i testi tutte le donne protagoniste manifestano un proprio pensiero e si dibattono in un ruolo che sentono stretto, che sia quello della moglie, della serva o dell’amante.
Allo stesso modo, i due personaggi maschili rivelano la meschinità del proprio narcisismo e si trovano a fare i conti con lo stupore che la presa di coscienza femminile gli provoca. Ginzburg racconta tanta vita interiore attraverso piccoli gesti quotidiani: la necessità di confessare un segreto al buio, dopo aver spento le luci; una valigia che si rompe e deve essere chiusa con una corda; un pallore improvviso che tradisce un disagio; un pasto consumato in fretta, a confermare una fame di vita insaziabile. Tutti i personaggi sembrano agire nel limbo di una promessa di azione, come sporti sull’orlo di un precipizio che non si decidono a saltare.
In Dialogo, scritto nel 1970 per la televisione, Marta e Francesco vengono ripresi in camera da letto, nell’atto continuamente rimandato di alzarsi e cominciare la loro giornata. Il dialogo tra i due è comico, acceso, allegramente ordinario: una schermaglia di coppia che fin dall’inizio sembra però nascondere qualcosa di più.
La scelta registica è di mantenere una scena fissa, con un grande letto al centro e uno sporadico scambio di battute con la serva Concetta che si prende cura della figlia dei protagonisti ma non appare mai in scena. La sensazione di immobilità viene rotta solo dagli impacciati tentativi di Marta di confessare il proprio disagio al marito.
Il continuo scendere dal letto e rimettersi sotto le coperte manifesta un disperato bisogno di affrontare la vita e, al tempo stesso, un terrore inconfessabile del cambiamento. Francesco è uno scrittore che non riesce a sfondare, Marta è una donna insoddisfatta che sembra aver trovato una strada per cambiare le cose ma non riesce a dare contorno e parole al futuro su cui sta fantasticando. Valerio Binasco e Alessia Giuliani hanno una complicità divertita che rende vividi i personaggi e altrettanto vivi i dialoghi cui danno voce, restituendo tutta la malinconia e l’ironia che il pubblico prova nell’intuire l’epilogo della storia.
Fragola e panna, il secondo racconto portato in scena da Moretti,è stato scritto da Ginzburg nel 1966 e adattato per la televisione qualche anno dopo. La scena si svolge in un salotto e si apre con un fitto scambio di battute tra Barbara e Tosca, le bravissime Arianna Pozzoli e Daria Deflorian, rispettivamente nel ruolo dell’amante diciottenne del padrone di casa e di serva insoddisfatta della propria sistemazione.
Barbara è scappata di casa mentre Tosca vorrebbe tanto scappare e, in questa comunanza di intenti, instaurano un dialogo dove ognuna racconta pezzi di sé come svelando all’altra un passato e un futuro identici. Barbara è scappata da un marito violento e ha abbandonato alla suocera il proprio bambino; Tosca vive in campagna ma ha una figlia che lavora in città, avuta probabilmente molto giovane.
Ciascuna vede nell’altra uno specchio in cui ricordarsi giovane o in cui proiettarsi un futuro. In questo clima di confidenze si inserisce Flaminia (Alessia Giuliani), con la freddezza della moglie che conosce l’infedeltà del marito ma da tempo ha scelto di ripagarla con l’indifferenza. Vorrebbe liberarsi di Barbara senza esitazione, confessando così una feroce gelosia e un altrettanto bruciante livore verso il marito. Ma è la sorella di Flaminia, Letizia, a dare una vera svolta alla situazione: interpretato da Giorgia Senesi, questo personaggio è quello che dà movimento alla pièce, non solo prendendo una decisione che nessun altro sembra in grado di prendere, ma anche manifestando un pensiero borghese che getta nuova luce su tutta la vicenda.
BARBARA: Ho paura. Ho paura che mio marito mi voglia ammazzare. Ho paura che mi cerchi e mi ammazzi. Dove vado? Non so dove andare.
LETIZIA Ma no. I mariti non ammazzano mai.
Se pensiamo che Ginzburg scrisse questo testo nello stesso anno in cui veniva liberata Franca Viola e cominciava la sua battaglia contro il matrimonio riparatore, capiamo quanto impressionante sia la polemica con cui fa dire queste battute alle due donne attive del suo racconto.
Barbara per fuggire al marito violento salta dalla finestra di casa eppure Cesare (Valerio Binasco), il marito infedele di Flaminia di cui si è innamorata, definisce quello stesso marito “un cucciolo”, minimizzando il terrore della ragazza e dandole della matta. I due adulti per eccellenza di questo racconto, il marito e la moglie, sono inattivi quasi per definizione e tendono a vedere follia dovunque ci sia un barlume di sentimento autentico.
La differenza profonda tra i due, che porta forse a compimento quanto raccontato in Dialogo, è la reazione che hanno all’incontro con Barbara: Cesare è immediatamente pronto a cancellare la relazione e a relegarla a “episodio spiacevole”, propone una crociera, si nasconde dietro la confessione delle proprie debolezze facendosene scudo contro il senso di colpa. Flaminia, invece, così immobile rispetto alla sorella nel primo atto, nel secondo si trova lontana anni luce dalla grettezza di Cesare e dalla praticità comoda di Letizia; è come se ritrovasse una consapevolezza di sé a lungo dimenticata. Riesce a vedere il marito per quello che è, “un uomo da niente”, e a rassegnarsi all’impossibilità di recuperare il tempo perduto in un matrimonio senza amore.
Ginzburg ci lascia due finali aperti: in entrambi i casi qualcuno è partito o non si trova più, come a voler suggerire che la via d’uscita a volte non è per forza la soluzione usuale, o più comoda, o più scontata. La sensazione è che la pioggia e la neve che caratterizzano l’ambientazione dei due racconti non siano solo condizioni atmosferiche ma tempi scenici da cui ripararsi, coltivando la conoscenza di sé senza temere il temporale di emozioni e sopportando coraggiosamente il vento del cambiamento.