Aprirsi a domande nuove e avere cara la propria libertà: grazie alla scienziata Elena Cattaneo una piccola, significativa storia in vista dell’8 marzo
Non so se Elena Cattaneo, scienziata, senatrice a vita, protagonista della battaglia di chiarezza scientifica sul metodo Stamina, voglia dirsi femminista (mi parrebbe di no, ma è solo un’impressione).
Nei dintorni dell’8 marzo, ho assistito ad una sua lectio magistralis- era stata invitata dall’assessora alla cultura e alla pari opportunità di Sesto S. Giovanni Rita Innocenti – alle studentesse e agli studenti del liceo del centro scolastico parco nord.
Lezione durante la quale ho notato alcune confortanti cose – per esempio l’attenzione intelligente di tutto l’uditorio – e ne ho apprese altre di cui sono grata. Ho molto amato alcune cose che lei ha detto: pensare che ci sono domande nuove che ci si può porre, per esempio. Una studentessa ne ha fatta una che lei ha giudicato formidabile. Essere consapevoli che la libertà (di studiare, ricercare, pensare) non è scontata e presidiarla: pensare per questo alle ragazze rapite da Boko Haram in Nigeria. Mettere tra la scienze la filosofia, l’arte del ragionare, il coraggio del senso critico. Coraggio è sempre una bella parola. Non avere rimpianti rispetto alle proprie scelte, come dice Rita Levi Montalcini in un video che Cattaneo ha mostrato.
Ma il motivo vero per cui penso che in quella scuolona anni ’70 vicino al Parco Nord l’8 marzo sia stato effettivamente celebrato – e per cui penso che valga la pena celebrarlo, aldilà di pizze, mimose e varie – è un altro. Ed è il modo in cui Cattaneo si è sentita autorizzata e spinta a diventare una scienziata, a occuparsi di staminali, a ricercare come si combatte la Corea di Huntington, una terribile malattia che intreccia 800 milioni di anni di storia dell’evoluzione umana.
L’ha raccontato con molta partecipazione e, mentre parlava, io me la sono immaginata: giovane, studiosa, seria, seduta in un’aula del Mit ad ascoltare una signora che con grande entusiasmo diceva a una plaeta non proprio di sprovveduti «Let’s go to Venezuela».
Quella signora era la neuropsicologa Nancy Wexler, la cui mamma era morta di Corea di Huntington e che aveva scoperto che in Venezuela, vicino al lago Maracaibo, una persona su 10 si ammalava e dunque era da lì che bisognava partire per indagare quella malattia che gli studi genetici avrebbero poi attribuito alla ripetizione anomala di un frammento di Dna.
«Tante cose – ha detto Cattaneo – cominciano da singole persone e Nancy motivava tutti con semplicità, con baci e abbracci. Con quell’invito ha messo in moto una ricerca che ha coinvolto da allora un’enorme comunità di ricercatori in giro per il mondo». In quella comunità c’era e c’è anche lei, Elena Cattaneo.
Let’s go to Venezuela, allora, per augurare buon 8 marzo e per dirsi che ancora conta e ha senso questa data se significa aprirsi a domande nuove e avere cara la propria libertà ovunque essa ci porti. E che è molto bello – e molte possono dirlo per la propria vita – che l’autorizzazione a incamminarsi su una strada venga da un’altra donna ( fosse anche, perché no, la mamma).
Foto: Associazione Luca Coscioni