Con un colpo di fortuna ho incontrato il fotografo, adesso in mostra al Museo della scienza e della tecnologia in un grande racconto delle vie del caffè
È venerdì sera, 5 giugno: sto camminando verso il Museo nazionale della scienza e della tecnologia, lungo via San Vittore. Steve McCurry alle 22.00 dovrebbe tenere una lectio magistralis, in cui spiegherà al pubblico di amanti della fotografia i suoi segreti e le storie dietro le sue fotografie. Molte le conosco già, ho già visto molti video, letto molto e visto alcune delle sue mostre. Al museo è appena stata inaugurata l’ultima, From these hands: a journey along the coffee trail, in collaborazione con Lavazza, che spero di vedere il giorno dopo.
Mentre mi avvicino alla meta penso all’ultima volta che ho visto Steve e non sono riuscita a parlargli, nemmeno a salutarlo, al salone del libro di Torino di un anno fa. Ne avevo già scritto a gennaio, quando vi ho raccontato di Oltre lo sguardo, alla Villa Reale di Monza.
A un certo punto alzo lo sguardo dal mio cellulare alla strada e mi accorgo che pochi metri più avanti c’è proprio lui, Steve McCurry. Sta passeggiando con alcune persone e non voglio disturbarlo, ma, porca miseria, è l’occasione che aspettavo per, almeno, scambiarci due parole. Mi avvicino, parlo con una ragazza che è lì con lui e lavora con Lavazza. Le spiego chi sono, una giovane giornalista e appassionata di fotografia, e mi dice che Steve incontrerà, prima della lectio, un gruppo di Istagrammers. «Se vuoi puoi aggregarti al loro». Me lo devo far ripetere?
Mi imbuco nel pre-show e finalmente parlo un po’ con lui e con quei divi di Instagram: una ragazza lo ringrazia perché ha iniziato ad avvicinarsi alla fotografia dopo aver visto la sua mostra a Palazzo della Ragione quattro anni fa. Un altro si fa spiegare da cosa nasce il suo stimolo alla fotografia e gli chiede se ha mai avuto la sensazione di copiare se stesso.
Steve è molto gentile: le risposte sono brevi, probabilmente queste domande gli sono state rivolte mille volte. Parla del piacere che gli suscita la fotografia, io gli chiedo se ha mai rinunciato a scattare, per un senso etico: la risposta è sì. Ha mai provato rimpianti per una fotografia non scattata? «Non credo nei rimpianti, credo si debba andare avanti, facendo sempre del proprio meglio. Ci sono rimpianti nella vita, ogni giorno, ma non sono qualcosa di produttivo. Io cerco sempre di imparare dai miei errori, ma poi di lasciarli andare».
Nell’emozione di trovarmi a colloquio con McCurry e ai suoi occhi blu non trovo nemmeno il coraggio di scattargli una fotografia. Mi sembrerebbe di rovinare quel momento, piuttosto che di fermarlo per sempre. Purtroppo il momento dura poco, è ora della lectio: io e gli instagrammers usciamo dal Museo, ci godiamo lo spettacolo di proiezioni colorate sulla facciata; poi Steve inizia a spiegare al suo pubblico fotografie che ormai conosco molto bene, oltre a qualcuna di quelle inedite presenti nella mostra From these hands: a journey along the coffee trail, che torno a visitare qualche giorno dopo.
62 fotografie scattate in 12 Paesi del caffè, da quelli dell’America Latina a quelli di India e Africa, fino ai più recenti viaggi in Etiopia e Vietnam, in collaborazione con il progetto di Lavazza ¡Tierra!, nato nel 2002. Come al solito, mentre cammino nell’installazione che riproduce dei libri enormi e mi sento osservata dai ritratti dei lavoratori e delle lavoratrici del caffè di tutto il mondo e dei suoi consumatori, mi prende una gran voglia di viaggiare. Peccato che l’illuminazione, che crea un’atmosfera intima e soffusa, non sia sempre favorevole alle opere in mostra, altrimenti, quasi, si sentirebbe il profumo del caffè.
Foto (tagliata per questioni di impaginazione): Steve McCurry, a coffee grower waits for his workers, La Esperanza, Columbia, 2004