Un fanta testo di Colaprico sulla nostra storia recente con Renato Sarti, Bebo Storti e Paolo Rossi in video. Ma la sacrosanta satira della compagnia del Bunga Bunga appare spesso risaputa
Gigi e Pino camminano sulla collina. Chiacchierano. I toni sono quelli di una riottosità gioviale: due sodali brontoloni in gita fuoriporta. L’incipit perfetto di una commedia buddy-buddy – per chi non mastica l’hollywoodianese: film che trattano di un rapporto di amicizia tra esponenti dello stesso sesso – ibridata con un pizzico di road movie. Tutto nella norma se non fosse che l’altura in questione si rivela, ben presto, essere il Purgatorio (sì, quello della seconda cantica dantesca) e che sotto i diminutivi dei due penitenti si celano Luigi Calabresi e Giuseppe Pinelli, che amici, stando alle cronache di un recente e luttuoso passato, non furono proprio mai.
Non sottilizziamo. Del resto il titolo del nuovo spettacolo di Renato Sarti, realizzato con la complicità drammaturgica di Piero Colaprico e le connivenze attorali di Bebo Storti e Paolo Rossi, parla chiaro sull’informalità della trattazione. Il carnevale dei truffati impone, come vuole la tradizione del rito, l’azzeramento programmatico delle distanze, siano esse politiche, religiose, sociali ed economiche, per far sì che tutti possano accedere alla materia esposta, criticarla e riderne apotropaicamente, secondo un principio di corrosività del tutto simile a quello che governa la satira. Ed è forse a questa forma teatrale che il testo di Colaprico allude maggiormente: la vicenda, i personaggi stessi, sembrano solo il pretesto per una dissertazione in libertà sulla società contemporanea, tanto che alla prima occasione i due protagonisti vengono rispediti sulla terra da Dio in persona (e in spirito santo) per saggiare, in una rassegna stampa a tutto tondo, la situazione del bel paese.
Ecco allora che ai cori di voci dei trapassati – tutti, o quasi, portavoce degli ideali che animavano gli anni della tensione – si sostituiscono testimonianze di vacue soubrette immolatesi al bunga-bunga in nome di un tornaconto meschino e litanie snervanti di igieniste dentali fanno da controcanto a discutibili dichiarazioni dell’ex premier “Plasticoni”. Tutto puntualmente commentato dai due spaesati spiriti che faranno ritorno nell’aldilà sconcertati e afflitti all’idea che il mondo sia diventato questo ciarpame in barba ai loro sacrifici.
E hanno ragione, per carità: hanno ragione su tutto. Ma noi vivi, queste cose non le sapevamo già da tempo, tanto che perfino la magistratura (che in Italia ha ritmi purgatoriali) se n’era già occupata? E poi: se la loro è davvero satira, dov’è il mordente, dove quella sana cattiveria che spinge al riso? Possibile che il jet-lag oltretombale sia così destabilizzante?
Va bene infatti scomodare Calabresi e Pinelli per farne i campioni-di-un-passato-migliore/censori-di-un-presente-sconfortante, e passi pure “affratellarli” avvalendosi della massima virgiliana del “parce sepulto” (un po’ come aveva tentato ecumenicamente Marco Tullio Giordana in Romanzo di una strage) ma attenzione a non renderli innocui e mansueti quanto Sandra e Raimondo in Casa Vianello! Il pericolo infatti è che a essere truffato rimanga solo lo spettatore a cui era stato promesso un carnevale e si trova invece tra le mani una comicità un po’ prevedibile, quasi canonica, disinnescata qua e là da ritmi scenici altalenanti, da tempi comici appannati. Ingredienti che, per far vivere una satira e rendere divina la commedia, devono sempre essere freschissimi: perfino un vino d’annata, se lasciato invecchiare troppo, può diventare aceto.
(Foto di Marina Alessi)