L’archetipo della rainbow flag di tanti gay pride, cucita da Gilbert Baker, entra nelle collezioni permanenti del MoMA di New York. Stiamo parlando d’arte e basta?
Un tranquillo weekend di paura iniziato con il Family day romano è degenerato nel raduno di Pontida con lo slogan della normalità a scaldare gli animi dei manifestanti: normale si dichiara Salvini – «in Italia la normalità è già una dote al di sopra dell’ordinario» -, così come è normale la Sacra Famiglia Tradizionale Senza Se E Senza Ma.
Ma grazie al MoMA – per lasciare il Cielo a piazza San Giovanni – la storia può procedere indisturbata, e a New York si rende omaggio al referendum gay friendly irlandese con l’aggiunta nella gloriosa collezione della bandiera che tanto disturba Giovanardi e amici: il vessillo arcobaleno di Gilbert Baker, che dalla fine degli anni settanta colora le parate omofile di tutto il mondo.
Da otto a sette a sei, queste strisce d’autore avrebbero in origine precisi significati a seconda del colore, che vanno dalla vita alla serenità secondo accostamenti new age decisamente poco attuali e ormai ininfluenti. Di fatto si tratta di una bandiera della pace al contrario, coi colori caldi verso l’alto come per la prismatica dispersione della luce che segue i temporali. «Una bandiera naturale, che arriva dal cielo» commenta il suo autore con finta ingenuità, senza dubbio consapevole del ruolo ibrido della sua opera, piantata nel punto medio tra astrazione e concretezza sociale, tra un monotono parallelismo geometrico e la più screziata cultura di massa.
Briosa bandiera di un partito tra i più anonimi: comunità sotterranea di padri, mariti, figli, madri, mogli, figlie in perpetua ricerca di definizione, condannati alle più sudicie oscurità per pochi momenti di tenerezza e che vengono infine allo scoperto con tutti i colori cangianti, per non passare inosservati nemmeno da lontano.
Che il MoMA appenda quest’opera alle sue pareti ha egualmente un significato artistico e politico. E se artisticamente il lavoro di Baker si colloca sulla scia del New Dada à la Jasper Johns – è d’obbligo il richiamo a Three flags di vent’anni prima –, al suo trasferimento in museo si aggiunge un potente significato simbolico. Come per sancire che la definizione di gay sta diventando cosa ovvia: una normalizzazione assai distante dal «normale» di Salvini. È il riconoscimento di un modo di essere che permette a chi ha sempre combattuto di appendere le armi al chiodo come con questa bandiera, di passare dalle grida e danze del gay pride al quieto trascorrere di una (gay) life. Con l’obiettivo di un diritto astratto che sia denominatore comune di distinzioni che la vita costruirà poi per conto suo.
Immagine di copertina: In rainbows di Jamison Wieser