Storie di (altre) città: Shit and Die è la Wunderkammer (un po’ cerchiobottista) della Torino che si fa mondo.
Cinque novembre 2014, Palazzo Cavour, Torino. Centinaia di persone scalpitano per entrare a Shit and Die; dentro le aspetta Maurizio Cattelan.
Feticismo, voyerismo, esibizionismo, sadomasochismo, quanta nostalgia del boudoir! Felici le gallerie sessantottine che videro tenere bambine sfuggite a papà accendersi davanti ai femministi godemichets. Felici i Salon che ammirarono le smorfiose di Francia inorridire davanti a certi nudi; felici le suddette signorine nell’impiastricciarsi le velette di rossetto pigiandole su labbra sdegnate. Felici i salotti risorgimentali in cui i gentiluomini, tra una legge Siccardi e l’altra, trovavano il tempo per sfregarsi i calzoni con gli ultimi ritratti della Contessa di Castiglione. Felici i tempi in cui l’impronunciabilità del sesso aizzava i benpensanti. Oggi si è tutti malpensanti.
Con le valorose curatrici Myriam Ben Salah e Marta Papini, a Torino l’artista d’Italia fa propria la ben nota pratica sabauda, giolittiana, nazionale, del bastone e della carota e lascia pensieroso quel pubblico che si era fiondato a Palazzo Cavour assettato di sangue. Clero, signorine, padri della patria vecchi e nuovi, ancora vibrano nelle loro tombe al solo sentir nominare Maurizio Cattelan, eppure Shit and Die si concede al pubblico con la compostezza di un delitto premeditato. Lo spettatore sale le scale in un vortice di banconote, incontra le tele sepolte di Davide Balula e le tele dipinte da alcuni pittori in un’estetica da thrift shop; sosta di fronte agli scatti privati con cui Carlo Mollino preservava memoria delle sue seducenti amiche, con un nutrito gruppo di artiste ragiona sullo sguardo delle donne; passeggia sotto la forca dei condannati a morte e legge i superbi ritornelli che questi incidevano sugli orci del carcere; infine trova lo studio di Cavour impacchettato in materiale plastico trasparente con dedica alla musa Fetish. I ganci che Markus Schinwald dipinge sulle rosee gote dell’Imperatrice Eugenia sono vesti da educanda rispetto alle perverse scarpette delle signore al vernissage.
Di questa familiarità con l’inusuale si occupa il blog Shit and Die, curato con audacia da Lucrezia Calabrò Visconti: un preliminare alla mostra, panoramica sull’immondo, sul trash e sugli sberleffi di un passato sensibile al perturbante. Il contemporaneo, suggerisce Shit and Die, viene al mondo ogni qualvolta l’uomo si distanzia dalle sue paure più ataviche. Decennio dopo decennio l’arte contemporanea coglie le occasioni per rilanciare tali paure a un’umanità rifugiata nella rimozione. Opere d’arte sulla malattia dopo l’invenzione della penicillina, sul sangue dopo la circolazione degli assorbenti usa e getta, sul piacere dell’autolesionismo dopo la condanna dello stupro come crimine contro la persona. Shit and Die è la Wunderkammer di una Torino che si fa mondo. A chi più non ricorda il macellaio piemontese che trasformava le donne in salsicce, i denti marci, la morte per fame, gli incesti, le unghie incarnite, il mestruo sui vestiti… Shit and Die questo ed altro propone. Precisando che di ciò gli artisti si nutrono.
Shit and Die prende a prestito la storia di una città, Torino, mostrando come l’evaporazione di censure e pudori negli ultimi due secoli abbia generato per l’arte un pubblico smaliziato di fronte all’osceno, ma affamato di esso, di sesso. Si era in attesa del Cattelan senz’ombra, dell’artista che ha in spregio il giustificazionismo, consapevole che spiegare un testo è detestarlo. Quel Cattelan che attira l’attenzione in modo tirannico senza offrire garanzie: la Primula rossa, imprendibile anche a se stesso. Ecco invece un Cattelan calato nell’indiavolata Torino dei costruttori d’Italia e degli assassini: criminologo o criminale? Forse sono la stessa persona. In questa mostra l’arte occidentale, che in infinite rappresentazioni dell’osceno ha ormai toccato il fondo, lancia sguardi disincantanti come un imperturbabile nichilista sdraiato sul lettino delle terme.