Lo interpreta Erlend Øye, musicista, produttore discografico dall’aspetto soave e dalle idee chiare
Erlend Øye sale sul palco del Fabrique con una gentilezza quasi d’altri tempi, per salutare il pubblico con un italiano incerto ma sincero e presentare i Fitness Forever, band napoletana che apre la sua serata milanese del 6 novembre. Con tre voci che si alternano e un sound ben piantato nell’Italia anni Settanta, il gruppo maschera l’ottima tecnica costruttiva ed esecutiva con leggerezza e ironia, guadagnandosi, una canzone dopo l’altra, la partecipazione di un pubblico ancora sparuto.
Due di loro – basso e batteria – tornano subito in scena quando è il momento di Erlend Øye, giramondo trapiantato a Ortigia, e formano con il norvegese, appunto, e l’islandese polistrumentista degli Hjálmar una band cosmopolita. Si parte con le sonorità reggae di Legao, cui l’allampanato Erlend dedica il set iniziale; parla molto, buffo e onesto nel mischiare le lingue, e balla ancor di più, sorretto dai suoi compagni d’avventure sonore in Garota e Save Some Loving.
Per spezzare la serata, un ritorno al folk acustico dei Kings of Convenience con l’adorabile Dico ciao e un’ottima Peng Pong con chitarra, flauto e melodica, prima di lasciare la scena a Sigurður Halldór Guðmundsson per un brano in islandese che ne svela la stupenda voce.
Il set finale, con la band al completo, vira su un sound disco e funky che permette versioni estese della coinvolgente Rainman e dell’immancabile La prima estate, più convincenti e sfaccettate rispetto alla prima parte del concerto. Tra domande al pubblico – purtroppo non numeroso – e racconti sull’improbabile collanona dorata che indossa, Erlend Øye si diverte a trascinarci in un ritorno al passato, con Golden Cage dei The Whitest Boy Alive a band allargata e finale corale.
Dal suo primo album solista (Unrest, 2003) arriva Every Party has a Winner and a Loser a chiudere il concerto; ma il pubblico lo incalza, ed Erlend non nasconde l’amore per i cantautori italiani: imbraccia la chitarra e saluta Milano con Ritornerai ed E la chiamano estate, con la stessa gentile ironia dell’intera serata.
Erlend Øye and the Rainbows al Fabrique