Difficile intervistare Eve Ensler, autrice del meraviglioso memoir “Nel corpo del mondo”. Anche se l’ho tradotto io. Qui parlo con lei e vi racconto il mio guadagno
Assunto numero 1: Non è così facile parlare con Eve Ensler
Non solo perché è una drammaturga famosa in tutto il mondo, una performer coraggiosa, una femminista impegnata in prima linea. Non solo perché ha aperto un centro di accoglienza in Congo per le donne vittime di abusi e violenze di guerra e si impegna per sostenerlo. Non solo perché è americana e quindi molto – molto – efficiente con la gestione del tempo. Oggi è difficile parlare con Eve Ensler perché c’è poco campo: è in Marocco – chissà a fare cosa – e ha ritagliato un momento per parlare con me, che ho tradotto il suo ultimo libro Nel Corpo del Mondo in italiano e provo quell’entusiasmo vaginale che contagia chiunque conosca Eve e il suo lavoro. La donna che ha sdoganato la parola vagina in tutto il mondo e ha insegnato a centinaia di donne ad amare, celebrare e rispettare il proprio corpo – ne parlerà domani a Milano – ha dovuto affrontare la prova di smarrimento fisico più grande: un cancro all’utero. Nel 2008, proprio mentre sta per aprire la città della Gioia, un centro d’accoglienza per donne congolesi vittime di abusi di guerra, le viene diagnosticato il tumore e ha inizio la danza della terapia. La malattia, e la scrittura, le hanno permesso di ricongiungersi al proprio corpo. Racconta mesi di scansioni, tagliuzzamenti, estrazioni, cocktail chemioterapici, del dolore fisico, degli amici che ti aiutano e sorridono, della morte di una madre, dello schifo delle viscere, del terrore di morire soli e di come la paura di morire e la vicinanza della fine siano momenti preziosi, essenziali. che chiedono a gran voce la nostra presenza.
Sudo perché non ho preparato bene le domande. La sua voce è una specie di mugolio indistinto. Sento solo gli andamenti tonici della voce, effetto calzino in bocca. Con qualunque altro autore avrei finto di capire le risposte e mi sarei arrangiata nella scrittura. Ma con lei non si finge, non si può. Nel suo libro passa il tempo a chiarire, domandare, domandare ancora per comprendere. E’ nell’utero? Cosa sono le fistole? L’ileostomia? E quanto è probabile che io muoia davvero? E se tornasse il tumore? Mi sembrerebbe un insulto non essere in grado ora di dirle: non ti sento. Lo dichiaro e lei si sposta nello spazio, comincia il classico dialogo tipo ora si sente? – niente. Ora? Insomma, sì meglio. Ho il terrore che mi attacchi il telefono.
Quando hai pensato di scrivere questo memoir?
Quando ho avuto la diagnosi. Volevo qualcosa che rendesse l’esperienza completa. La scrittura è arrivata in modo così naturale, sembrava quasi che il corpo l’avesse scritto per me. Era scritto nel corpo.
(Non è un’affermazione così astratta come sembra. Si scrive con le mani. Si scrive con il corpo, come se le mani fossero le uniche a poter donare, le appendici ultime di un’intenzione che nasce da qualche parte misteriosa, tra l’intestino, il cuore e il cervello).
Nel libro usi molto liberamente i tempi verbali, alcuni paragrafi vivono nel presente, altri nel passato, ma in un continuum narrativo.
Ancora una volta penso abbia a che fare con il corpo. Il corpo sentiva che era giusto. Il corpo è tempo. Non lo percepisce come lo percepiamo noi. Il trauma è un modo in cui il corpo percepisce il tempo. Tutti i tempi erano connessi in modo organico.
Sono sconvolta dalla tua capacità di trattenere e trasmettere i ricordi più minuti del tuo processo di guarigione.
Sono stupita anche io della mia memoria. Normalmente non ricordo niente ma il corpo deve aver trattenuto la memoria del dolore ed è rimasto in comunicazione con la coscienza. Il mio corpo era questo libro.
Quindi in pratica, hai tradotto tu stessa il tuo corpo in un libro.
Credo sia un buon modo di descrivere il processo. Il corpo ha un linguaggio così crudo, grafico. Ho trattenuto quello che ricordavo dei termini medici ma le parole più forti erano connesse al corpo.
Assunto numero 2: non è così facile parlare per Eve Ensler
Com’è stato tradurlo? mi chiede Eve.
Mi fai tu le domande?
Sì.
Mi ricordo di aver pianto in due punti e piangere traducendo non è facilissimo: c’è un momento in cui descrivi quello che accade a una delle ragazze africane ospiti della Città della Gioia. È coinvolto un feto, i soldati e alcune donne africane, eppure è il momento chiave di tutta la storia. È il male assoluto. Siamo abituati a pensare all’Olocausto come pietra di paragone del male ma non sappiamo ancora che ondata di violenza sta per arrivare da posti come il Congo, territori da sfruttare e controllare con ogni mezzo.
Poi verso la fine, nel capitolo In volata. È la fine del cancro e l’inizio di un nuovo mondo. Parla di chi potrà abitare il nuovo mondo che nascerà sulle rovine di questo, che sta già cambiando.
Quel capitolo è stato problematico da tradurre: in inglese s’intitolava second wind e tu giocavi sul doppio significato della parola. Second wind è il momento finale della maratona in cui l’atleta, che dovrebbe essere stremato, trova un’improvvisa e inspiegabile energia che ne migliora la prestazione. Però tu usi il vento per descrivere il vento del cambiamento, quello che ha permesso a te di ricominciare a vivere e alla tua anima di credere in un mondo in cui questo vento porterà la rivoluzione, quella della solidarietà, della cura per i corpi e delle persone, del rispetto dell’ambiente. Sono uscite quelle lacrime che sgorgano nei finali “all’americana”. Che non mi uscivano da tempo. In redazione abbiamo trovato un compromesso blando ma necessario: in volata, quella del ciclista a fine tappa, quando un ciclista si stacca e prende il volo.
Mentre parlo con Eve e la connessione diventa stabile, mi accorgo che è anche quello tradurre. Sintonizzarsi. Trovare una frequenza dove la voce è chiara, emerge cristallina. Quello è il misterioso lavoro del traduttore, togliere i chilometri alla voce, trovare il campo. Compiere il miracolo alchemico, che trasforma dei segni incomprensibili in un’emozione riconoscibile, in cui sia possibile identificarsi.
Anche quello è tradurre, accettare lo sbriciolio del senso, lasciarsi dietro qualche mollica sperando che un giorno qualcuno veda il percorso a ritroso. Di tracce Eve ne ha lasciate infinite. I suoi monologhi sono stati tradotti, ampliati, tagliati, interpretati in tutto il mondo.
Hai potuto seguire le tue traduzioni nel mondo?
Mi sono fidata, hanno avuto una vita propria. I Monologhi sono stati presi, smontati, riassemblati. Non conosco le lingue in cui sono stati tradotti, quindi ho lasciato andare.
Assunto numero 3: non è facile parlare di Eve Ensler
Per scrivere questo articolo ho dovuto chiedere una scadenza che ho poi tradito, ho trovato mille scuse: prima il ciclo – vuoi che Eve non capisca il dramma della sindrome premestruale? Poi qualche viaggio – come faccio a scrivere lontana dal mio computer? Poi pura procrastinazione: tazza di caffè, gatto, amica al telefono con crisi impellente. Infine ho lasciato che il desiderio di far conoscere questo libro lavorasse sul testo. Ho provato a chiedere il mio corpo di scrivere queste parole. Perchè, a prescindere dal carisma della Ensler, è importante fare una ricognizione intuitiva di tutti i corpi che siamo: non siamo solo i confini del nostro corpo, le nostre analisi mediche, i nostri esercizi di pilates, ma siamo anche i nostri corpi emotivi e i nostri corpi pianeta. Siamo le parole che usiamo, siamo le donne stuprate dai miliziani fino a perdere l’uso delle gambe, siamo il tasso da cui si estrae il principio attivo per la chemioterapia e siamo la perdita di petrolio nel Golfo del Messico e i delfini ricoperti di bitume. Siamo la chemio ma siamo anche la preghiera. La Ensler non esclude niente e nessuno, tutto diventa interlocutore.
Nel libro c’è un capitolo bellissimo in cui la Ensler descrive la chemio come un fuoco sacro che brucia tutto. Mentre stavo traducendo il libro è andata a fuoco casa mia e il compenso della traduzione è stato interamente utilizzato per pagare i danni, per fortuna minimi. Quel fuoco domestico mi è servito per accelerare una serie di decisioni che avevano bisogno del mio coraggio. Ecco, non so come descrivere la scrittura o lo stile della Ensler ma so che avere a che fare con la sua scrittura produce dei cambiamenti immediati, e repentini, nella realtà.
In occasione dell’uscita del suo libro, Eve Ensler incontra Lella Costa, Lucia De Cesaris e Cecilia Strada al Teatro Elfo Puccini, Milano, domenica 13 settembre ore 21