A Bergamo ha riaperto l’Accademia Carrara. Alla scoperta di uno dei tesori d’Italia, vicinissimo a Milano, per un ultimo weekend di (quasi) estate
Ad aprile ha riaperto uno dei musei più belli e ricchi d’Italia: l’Accademia Carrara di Bergamo. Rispetto ad altri musei nazionali, non nasce in seguito alle spoliazioni ottocentesche delle chiese del circondario cui si aggiunge qualche scambio o donazione illustre a completare le raccolte. Nata nel 1796 dalla geniale intuizione del nobile bergamasco Giacomo Carrara, si è andata via via arricchendo di un numero straordinario di donazioni di collezionisti, spesso sceltissimi, che ne hanno fatto un raccoglitore di opere selezionatissime e che illustrano alla perfezione le grandi scuole delle diverse regioni d’Italia. Raccolte come quella di Guglielmo Lochis o del grandissimo connoisseur Giovanni Morelli e anche di Federico Zeri hanno arricchito il patrimonio della Carrara fino a più di 1500 opere, di cui 600 vengono ora esposti al pubblico dopo diversi anni di lavoro.
Il risultato è un rinnovamento strutturale, ma anche degli allestimenti interni, oltre che un restauro di oltre 150 opere. Mentre l’Accademia era chiusa, tuttavia, le sue opere hanno viaggiato in tutto il mondo, rendendo sempre più noto, al di qua e al di là delle Alpi, lo straordinario tesoro custodito tra le mura neoclassiche dell’Accademia, al fondo della straordinaria via della Noca, con cui si scende dalla Città Alta alla Città Bassa.
Il nuovo percorso espositivo, a cura di Maria Cristina Rodeschini e Giovanni Valagussa si snoda attraverso 28 sale, studiate con criteri a metà tra cronologia e geografia. La soluzione funziona, è rigorosa dal punto di vista filologico, anche se ogni tanto scade in raggruppamenti vaghi come “Sacre Conversazioni” et similia. Ma è una piccola pecca, quando l’allestimento crea accostamenti significativi e studiati, quando si riesce a dare l’impressione che non siano le opere ad adattarsi agli spazi, ma il contrario. Spesso si ha l’impressione che il patrimonio inestimabile appeso sulle pareti pudicamente grigio-chiare delle sale sia leggermente impoverito dalla banalità dei pannelli esplicativi, che non rendono conto e non fanno giustizia alla sottigliezza delle scelte dell’allestimento.
Per chi ha voglia, da Milano, vale – ancora più, ora – la pena di pensare ad un weekend bergamasco, dove, tra un casoncello e una polenta e osei, infilare una visita alla Carrara, alla Gamec, e a qualche chiesa (imperdibili il Duomo, Santa Maria Maggiore, la Cappella Colleoni, San Bartolomeo, Santo Spirito, San Bernardino in Pignolo, Sant’Alessandro e San Michele al Pozzo Bianco).
Si imparerà che la storia dell’arte può essere moderna, interattiva, può ruotare attorno ai capolavori, senza essere sciatta, banale, ignorante, senza svalutare la dimensione della tradizione locale. Si avrà, insomma, una lezione sul futuro della cultura, se vogliamo che lo abbia.
Andiamoci, per un ultimo weekend d’estate, prima che le foglie d’autunno ricomincino a cadere stanche, rendendo più impervia la pur breve via tra Milano e Bergamo. Sarà bello vedere, dal Castello di San Vigilio, il profilo dello skyline di Milano e della sua attività stagliarsi lontano all’orizzonte, ancora per un poco.
Immagine di copertina di Paolo da Reggio