Ben fatto ma freddo il remake di “Via dalla pazza folla” del danese Vinterberg (ex Dogma): ottimo Sheen, si rimpiangono Christie e Stamp. E un po’ di audacia
Thomas Hardy è uno scrittore vittoriano di libri molto depressivi, ma con gran bei titoli: Giuda l’Oscuro, Tess dei d’Ubervilles e il più bel titolo di tutti, Via dalla pazza folla. (Sfido chiunque a non averlo usato almeno una volta per farsi notare mentre lascia un party che sta degenerando).
Praticamente tutte le opere di Hardy sono state trasposte sul grande schermo, dal famoso Tess di Roman Polanski al Jude the Obscure con Christopher Ecclestone e Kate Winslet. Nel 1967 Via dalla pazza folla si è meritata una bella versione di John Schlesinger con un cast che offriva il meglio del cinema inglese di quegli anni: Julie Christie, Alan Bates, Peter Finch e Terence Stamp. Ma il 1967 è lontano, e a quasi 50 anni di distanza il regista danese Thomas Vinterberg, con un passato in Dogma e un futuro meno dogmatico a Hollywood, ha pensato bene di darci la sua con quello che offre lo stardom odierno. Il cambio non è stato dei più favorevoli.
Via dalla pazza folla versione 2015 è un film ben confezionato quanto convenzionale. Come ci si aspetta, Vinterberg dà fondo a tutto il campionario offerto dalla romantica campagna inglese in stile fine ‘800. Albe, tramonti, pascoli verdi, alte scogliere sul mare e stuoli di pecore tanto sciocche da finire giù dalle scarpate. Una menzione speciale però la meritano i bellissimi vestiti indossati dalla Mulligan, dunque un “brava” di cuore alla costumista Janet Patterson.
In questo paesaggio si muovono i passi di Bathsheba Everdene, una ragazza dallo spirito indipendente interpretata da Carey Mulligan. Erede di una fattoria, Bathsheba decide di gestirla da sola, aiutata da un suo antico spasimante, il pastore Gabriel Oak (Matthias Schoenaerts). Nonostante tutta la sua indipendenza però, la fiera Bathsheba capitola come qualsiasi cretina alla vista di una giubba rossa, indossata dal sergente Francis Troy (Tom Sturridge). Il matrimonio non può che rivelarsi un disastro, e quando tutto sembra perduto il sergente ha il buon gusto, almeno in apparenza, di levarsi di mezzo con un opportuno suicidio.
Ma proprio il giorno in cui Bathsheba sembra pronta a convolare a nuove nozze con il ricco e anziano vicino, William Boldwood (Michael Sheen), il redivivo sergente Troy si presenta a rovinare la festa, meritandosi di farsi ammazzare da Boldwood. Come si può ben immaginare, fra un ex marito morto e un futuro marito in galera, il terzo spasimante Oak si becca il primo premio e finisce per sposare la ragazza.
Il film soffre di una certa frammentarietà complessiva: concepito come una galleria di quadretti bucolici, alla fine rende gelido il racconto. Così passioni ed emozioni non riescono a emozionare, appassionare a sufficienza.
Carey Mulligan è bravina, ma eccede in sorrisi, quasi le pagassero a cottimo le fossette nelle guance. Il buon Schoenaerts, attore belga che abbiamo visto recentemente in Suite francese, non brilla per espressività e se pensiamo poi alla sensuale sfrontatezza del sergente Troy del ’67, interpretato da quel gran figo di Terence Stamp, qui Tom Sturridge sembra un pupattolino. Rimane l’ottima interpretazione di Michael Sheen, e due ore di film in costume che non mancherà di far felici le amanti di Downton Abbey e dell’Orgoglio e pregiudizio di Joe Wright con Keira KnIghtley. Anche qui, alla fine della pellicola, il bacio che suggella l’amore fra Bathsheba e Gabriel Oak avviene rigorosamente con un sole in controluce che indora i due protagonisti. So che a volte basta questo a rischiarare una grigia giornata, e va bene così.