Ritorno del Commesso che ha conquistato l’Italia

In Teatro

A cent’anni dalla nascita di Arhur Miller De Capitani riprende uno degli spettacoli già cult dell’Elfo. Più che attualità, si tratta di eternità

Da quando non è più stato mr. Marilyn Monroe, Arthur Miller ha perso per il pubblico gran parte del suo appeal ed è tornato nell’alveo culturale degli intellettuali americani impegnati e occhialuti. Sfogliando i calendari si scopre però che quest’anno ricorre il centesimo dalla sua nascita avvenuta sotto la depressione (nuovayorkese, Bilancia, del 17 ottobre 1915, ivi morto il 10 febbraio 2005 sotto il segno dei Pesci) e ha diritto, come Ingrid Bergman, Monicelli e Orson Welles e altri, alla sua parte di gloria cronologica anagrafica. Non so quindi se è un caso, ma credo di sì, che in questa stagione il nome di Miller, spesso troppo assente dai nostri repertori che inseguono sempre Pirandello e Shakespeare (sono anche per lui i 400 anni dalla sua scomparsa anche se per le verità non potrebbe essere più presente), e magari riscoprono B.B. cioè Bertolt Brecht a 60 anni dalla sua morte, è almeno tre volte in locandina a titoli cubitali.

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Tre suoi testi famosissimi: Morte di un commesso viaggiatore, del 1949, che torna nella bellissima edizione di Elio De Capitani all’Elfo, come fosse, nella sua critica feroce alla società capitalistica dei consumi, l’altra faccia, quella più realistica, alla metafora di Puntila, che nello stesso teatro sarà rappresentata; Uno sguardo dal ponte, 1955, ancora un titolo cult con Sebastiano Somma, che segue a Vallone e Lo Monaco, regìa di Enrico Lamanna (al Carcano); infine la quasi novità (non c’è neppure nel volume Einaudi del Teatro, ma ora uscirà singolo) Il prezzo, del ’68, dramma ereditario molto al maschile, che a suo tempo, nel ’69, recitarono Raf Vallone, Scaccia e De Ceresa, e che ora Umberto Orsini, allevato con Miller e già eroe di due suoi copioni, porta in scena con Massimo Popolizio per la prima volta anche regista. Non c’è dubbio che la popolarità di Miller da noi si deve a Luchino Visconti col suo storico “Commesso” con Morelli, Stoppa, Mastroianni, Interlenghi, una tappa storica all’Eliseo, ed allora coraggiosa, di un testo che poi è stato ripreso molte volte con illustri mattatori (Buazzelli, Salerno, Pagni, Orsini) grazie alla sua purtroppo inesausta contemporaneità: oggi più attuale di ieri e meno di domani. E a Visconti si devono anche un meraviglioso Il crogiuolo,  incredibile allestimento con trenta personaggi e un cast da brivido, impensabile oggi sia per la qualità sia per i costi (ma la caccia alle streghe anche quella resta di attualità…) e “Uno sguardo dal ponte” best seller con i prediletti Stoppa e Morelli, col ponte di Brooklyn immerso nel tulle di Garbuglia sullo sfondo, e la Occhini, Fantoni, Pani intorno nel dramma degli immigrati (non c’è bisogno di sottolinearne oggi l’urgenza) con venature scandalose gaye.

A volte toccata e fuga anche di altri maestri: Strehler mise in scena ma un po’ controvoglia l’atto unico un po gogoliano di Ricordo di due lunedì, 1961 o giù di lì, con Piero Faggioni (accorpandolo però a L’eccezione e la regola brechtiana, per segnare la linea) e Zeffirelli si buttò sul dramma scandalo Dopo la caduta, cronistoria con complesso di colpa incorporato del caso Marilyn, con Giorgio Albertazzi e la brava, dimenticata Monica Vitti. Ma il merito è quasi tutto di Visconti e di spettacoli oggi irraccontabili nella loro emozione e per la bravura degli attori: non ci sono registrazioni, a parte un Commesso riallestito in tv con un cast modificato. Il cinema (per cui Miller ha scritto Gli spostati di Huston per la Monroe) invece ha succhiato il sangue di un autore a lungo scomodo e sospetto per simpatie comuniste addirittura: il “Commesso” è stato girato due volte con March nel ‘51 e nell’85 con Dustin Hoffmann, Erano tutti miei figli ha avuto sussurri e grida di Burt Lancaster, Il crogiuolo (titolo Le vergini di Salem di Rouleau) l’impegno progressista della coppia Montand e Signoret, seconda solo a Sartre e De Beauvoir, mentre A view from the bridge fu un film di Lumet con Vallone (che lo fece in teatro anche da noi con Alida Valli) e il giovane Jean Sorel nei panni dell’immigrato canterino, biondo e quindi sospetto di scarsa virilità. Due dei Miller che arrivano a Milano saranno nuovi e di sicuro interessanti, Orsini è stato allevato a quella scuola. Lo spettacolo dell’Elfo è noto e già ricco di successo sia di pubblico (i giovani l’hanno scoperto) sia di critica come si diceva un tempo: la tenuta ideologica, chiara ed aspra e senza requiem, va a pari passo di sogno ed incubo con un allestimento realistico ma pure magico in cui De Capitani è al suo meglio insieme a ottimi compagni come Cristina Crippa e i figli rivelazione Angelo Di Genio e Marco Bonadei, figli in tutti i sensi dell’Elfo come due ex History boys.

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