Marco Balzano e Giorgio Fontana: due Campiello a confronto
Fabbrica. E tirare a campare. Operai e industriali e tanta confusione. Violenza. Due personaggi: il lombardo Dottor Giacomo Colnaghi, il siciliano Ninetto Giacalone detto il Pelleossa. Già dai nomi si capisce che enorme differenza ci sia tra loro, come uno stia dalla parte dalle istituzioni, l’altro da quella della strada: l’uno è un magistrato, l’altro è un criminale. E poi tutto quello che c’è ma non si vede, in mezzo a loro, e che crea una distanza per cui è impossibile capire o capirsi. E in questo tutto mettiamoci anche la giustizia, i sogni, i rimpianti, i rapporti umani e divini, e Milano, più o meno sullo sfondo.
Grandi personaggi e grandi temi hanno conquistato le giurie del premio Campiello 2015 e 2014.
Quest’anno si è aggiudicato il primo posto Marco Balzano, insegnante milanese classe 1978, con L’ultimo arrivato (2014, Sellerio, pp. 212, € 15), un romanzo-mondo, un romanzo umano e di enorme sensibilità che racconta la storia di una e di tante vite di picciriddi emigrati al nord. Grazie alle testimonianze di chi ha vissuto in prima persona l’immigrazione infantile negli anni del dopoguerra, Balzano ha costruito una prosa intima ma universale, post-moderna e realista.
L’anno scorso ha vinto il podio Giorgio Fontana, autore e giornalista milanese, con Morte di un uomo felice (2014, Sellerio, pp.280, € 14), un romanzo a cui Benedetta Tobagi ha dedicato la miglior critica che si possa fare a un libro: è un romanzo che mancava, che qualcuno avrebbe dovuto scrivere, ha dichiarato la Tobagi. Un testo che ha saputo ritrarre perfettamente la dimensione della vita quotidiana di un magistrato negli anni del terrorismo, senza soffocarla nella disperazione. Il dolore c’è, ma viene smorzato dai semi della fede, dell’amore, della parola e della testimonianza, che germogliano anche al di fuori del mondo narrativo: nello stesso anno in cui il suo protagonista muore, il 1981, Fontana nasce e ci trasmette il suo ricordo, le sue idee, la sua voce.
Le parole per Balzano e Fontana sono compagne di uomini dalla grande forza vitale e testimoni di scelte di vita che fanno sempre i conti col dolore: il dolore per la perdita di un padre partigiano che porta Colnaghi a diventare magistrato e a cercare il dialogo con i brigatisti, il dolore per un’esistenza troppo ostile che segna Ninetto e non gli dà la possibilità di tornare indietro. Forse gli concede quella di liberarsi dal senso di colpa, attraverso una personalissima auto-psicoterapia. Sono scelte, sempre e comunque, di vita attiva e di grande umanità, quelle dell’Ernesto Colnaghi, partigiano un po’ per caso, un po’ per senso civico, quelle di Giacomo Colnaghi e del Pelleossa, e anche quelle di Ninetto, che agisce di impulso per proteggere ciò che ha di più caro, secondo la logica di chi non ha mai avuto niente.
Le azioni e le condizioni dei padri si riflettono biblicamente sui figli che tuttavia non smettono di agire, di cercare e di migliorare. Tutti i personaggi si muovono di continuo tirando a campare e inseguendo ideali in universi narrativi dove la mobilità sociale è un dato di fatto. Dipingono un affresco composito, colorito e dalla precisione fiamminga, molto milanese e molto rumoroso, pieno di gente che agisce «ognuno per se e Dio per tutti». La solitudine si sente più che mai, nonostante i momenti di tenerezza che strappano più di un sorriso e che riscaldano tutta la narrazione, così come l’esistenza dei protagonisti.
Sull’amicizia si può contare poco: se per Colnaghi è un dono raro e lontano, in quel di Saronno, per Ninetto un’illusione colorata dalla saggezza popolare: «Gli amici non esistono, esistono solo persone con cui passare un po’ il tempo quando non vuoi pensare alle scassature di minchia.» Si salvano invece le gioie della famiglia, sporadiche e velate dalle preoccupazioni per quel magistrato che non fa mai abbastanza per suo figlio, fugaci e passionali per il Pelleossa che si scalda al solo tocco della moglie Maddalena, anche se poi manda tutto a «schifio». Non manca mai la compagnia di Dio, sostenuta dalla religiosità intima e profonda del cattolico, ottimista e buon Colnaghi,e da quella superficiale e popolare e un po’ come viene del semplice Ninetto.
Morte di un uomo felice e L’ultimo arrivato mostrano un’enorme sensibilità resa da una prosa emotiva e sempre scorrevole, più regolare nel primo caso, più particolare e più interessante nel secondo, dove per bocca del Pelleossa l’italiano standard si fonde a espressioni dialettali siciliane e milanesi.
Sono letture che danno soddisfazione perché trasmettono grande esperienzialità. E io, a lettura terminata, mi sento più ricca.