Nella sua video-opera, il regista Roberto Andò immagina che il celebre quadro di Guttuso prenda vita e racconti un’altra storia
Un lampo… e poi la notte! Bellezza fuggitiva,
il cui sguardo mi ha fatto rinascere di colpo,
non ti rivedrò più fino all’eternitá?
C’entrano qualcosa i versi di Baudelaire con le pennellate di Renato Guttuso che nel suo celebre quadro La Vucciria dipinge due ragazzi che si incrociano all’interno dello storico mercato palermitano? No. Ma, forse, aiutano a capire l’invenzione teatrale di un regista curioso che immagina un incontro.
Incontro che prende vita nella video-opera Il quadro nero, ovvero la Vucciria, il grande silenzio palermitano, lungometraggio firmato da Roberto Andò con musiche originali di Marco Betta e testo di Andrea Camilleri, andato in scena al Teatro CRT dal 25 al 27 settembre.
«L’idea è di raccontare una storia raccogliendo il silenzio di un quadro, partendo dal quale è bello immaginare gli sviluppi e le coincidenze possibili» dice Andò. E a questo si aggiunga l’intuizione del critico Cesare Brandi secondo il quale il quadro sarebbe stato dipinto su un fondo annerito con il carbone (per questo “quadro nero”) : sotto l’opulenza della rappresentazione si annidano in realtà presagi del declino di una città.
Una nota lunga, sola, è la base su cui Betta costruisce il commento musicale. Non vi sono respiri, né pause, solo questo “tappeto sonoro” che ricorda tanto l’incipit di Shine on you crazy diamond dei Pink Floyd sul quale si ergono come dei ex machina singole note di violino in crescendo che dettano il ritmo di entrata in scena dei personaggi.
Sullo schermo nero compaiono dal nulla, illuminati da una lampadina in lenta oscillazione, i particolari del mercato, e poi le figure assorte e trasognate che si muovono in questo spazio al rallentatore, come in una processione del venerdì santo.
L’opera si pone in questo modo in una dimensione altra, in un tempo dilatato in cui forze centrifughe e centripete portano lo sguardo ora su una figura ora su un’altra, andando a cogliere particolari che passano inosservati nella celebre “fotografia” guttusiana. La musica accompagna come un’“eco musicale”, sempre uguale ma diversa grazie a microvariazioni strumentali su cui si stagliano di tanto in tanto anche i rumori del mercato (il coltello del macellaio che scuoia, le voci della strada).
Il punto focale però è l’incontro che si viene a comporre al centro dello schermo. Il mercato si trasforma da luogo di realtà immanente a luogo di sospensione, in cui tutti i personaggi sono “orientati” verso il centro e la dilatazione temporale trova una sua giustificazione in un fermo immagine di pochi secondi. I colori dello schermo più caldi e saturi sono accompagnati da suoni più rotondi e pastosi come a descrivere interrogativi che traspaiono negli sguardi e che non trovano risposta.
Fu lo stesso Guttuso a confessare: «A un certo punto, mentre dipingevo, mi sono accorto come tutta quella abbondanza di vita contenesse, nel fondo, un senso distruttivo. Senza che io ci pensassi o volessi, la tela esaltava un senso di morte».
Il quadro nero, ovvero la Vucciria, il grande silenzio palermitano di Roberto Andò, musiche di Marco Betta. Teatro CRT