Ivanov è la prima opera teatrale di Anton Cechov. E anche al Teatro Franco Parenti la sua teatralità è originaria, senza mancare di originalità
Ivanov è uomo e condizione umana. Ivanov è nome di persona e consistenza di forma. Forma di depressione, forma di preoccupazione esistenziale, forma di vita, di passioni e di ragioni.
Ivanov è la prima opera teatrale di Anton Cechov. E anche al Teatro Franco Parenti la sua teatralità è originaria, senza mancare di originalità. La messa in scena diretta da Filippo Dini esplora il dramma da un punto di vista che riesce a essere efficacemente universale, e che interpreta trasversalmente il punto di vista di tutti i personaggi presenti nel testo dell’autore russo.
Filippo Dini, oltre a essere regista, è anche protagonista dello spettacolo, apertura di stagione del teatro diretto da Andree Ruth Shammah. Accanto a lui Sara Bertelà, moglie di Ivanov, un eccezionale zio Matvey Nicola Pannelli e poi Gianluca Gobbi, Orietta Notari, Valeria Angelozzi, Ivan Zerbinati, Ilaria Falini, Fulvio Pepe. Interpreti tutti colti da riconoscibile emozione durante la prima della messinscena, ma adatti e adattati ai personaggi cechoviani, di cui si notano un ottimo studio e un’approfondita comprensione.
Il dramma, nonostante il rispetto della sua classicità, è presentato sotto una veste di piacevole comicità, particolarmente accentuata nel primo atto e poi trasformata in tragedia nel secondo. Il ritmo è incalzante, al punto che difficilmente si desidera controllare l’ora pur lungo la durata di oltre due ore e mezza dello spettacolo. Le interazioni e le loro tempistiche sono calcoli precisi, ben gestiti dal lavoro attorale. E così il lato umoristico della vicenda scaturisce dai dialoghi che in prima battuta fecero invece l’insuccesso della rappresentazione tragica di Ivanov. Qui Filippo Dini centra molto correttamente la rilettura del testo, lo rende più fruibile, gli restituisce quella leggerezza calviniana che si sarebbe sempre meritato, non essendo, in quanto opera di Cechov, uno dei suoi migliori esempi di poetica.
La poetica è donata alla rappresentazione dalla scenografia, dalle lievi musiche e sonorità che accompagnano l’immaginario che perfettamente ricorda quella Russia, quei salotti borghesi, quei rapporti umani di cui Cechov parlava e di cui ancora parla, grazie alla sua capacità di riprodurre quella condizione eterna, universale dell’umanità che tutt’oggi i suoi scritti rispecchiano.
Le luci, in questo scenario di esatta catarsi, sono l’elemento culmine della bellezza visiva e immaginifica di questo Ivanov: mai eccessive, mai sottotono, sempre sintoniche rispetto all’azione, sembrano esse stesse azione, si confondono con la gestualità degli attori, che le sfruttano bene per evidenziare l’emotività dei propri personaggi.
Ivanov è un bello spettacolo: affermazione ormai rara da poter pronunciare anche in un ambiente milanese che di offerta teatrale è ricco. È bello perché è giusto. È semplice, non elementare. È intrattenimento, ma è anche riflessione. È teatro (quasi) epico, secondo la definizione che ne darebbe Brecht. Perché illumina la realtà essendone non copia ma artefice. E se anche, come da copione, Ivanov è il primo a non capirsi, non capendo né gli altri né se stesso, noi l’abbiamo capito benissimo. A teatro, però.
Ivanov, di Anton Cechov, regia Filippo Dini, fino all’11 ottobre al Teatro Franco Parenti
Immagini © Teatro Franco Parenti