I miei sogni mi appartengono – Lettere della donna che reinventò la paura, è una piccola, preziosa raccolta di lettere di Mary Shelley
I miei sogni mi appartengono – Lettere della donna che reinventò la paura, è una piccola, preziosa raccolta di lettere, mai tradotte in italiano, di Mary Shelley, amante e moglie di Percy Bysshe e autrice di Frankenstein (1818). Il libro è presentato in un’elegante busta azzurrina, così si potrebbe anche spedirlo, un regalo delizioso, anche perché il francobollo e il retro ritraggono lei, l’incantevole fanciulla; la copertina vera e propria è stampata con raffinati festoni floreali in bianco e nero e all’interno sono riprodotti i ritratti dei personaggi della sua cerchia.
Piacere dell’edizione a parte, è lei, Mary, giovanissima, ostinata, appassionata, determinata, visionaria, rigorosa e anticonformista, che merita di essere conosciuta, al di là dei cliché.
La sua storia pubblica comincia a diciassette anni con la fuga d’amore col grande poeta Percy Bysshe Shelley, sposato e padre di una figlia: uno scandalo clamoroso che perfino il padre di lei, il filosofo radicale e rivoluzionario William Godwin condanna. Eppure l’aveva educata ‘come un filosofo, anzi, come un cinico’, secondo le sue convinzioni e in memoria della madre Mary Wollstonecraft, tra le prime teoriche dei diritti delle donne.
La giovane, di fronte all’ostracismo anche delle persone più care, non si scompone, in una lettera a Shelley poco dopo la fuga scrive:
Amore carissimo,…devo ammettere che sono davvero delusa. Ritenevo Isabel ( la sua più cara amica) una persona estranea a ogni pregiudizio; idolatra la figura di mia madre e le sue idee, ma poi ‘un uomo sposato è un uomo sposato’. E’ impossibile fare entrare in zucca a certe persone il diritto al libero amore.
Mary scrive, anche in italiano, con una scioltezza, una libertà che non si trovano nella contemporanea lingua dell’ottocento.
Gli anni che seguono sono più romantici di qualsiasi feuiletton: viaggi continui, amicizie pericolose, scandali, gravidanze, suicidi e genio artistico.
L’anno cruciale è il 1816, che passò alla storia come ‘l’anno senza estate’, causato dall’eruzione del vulcano Tambora in Indonesia.
Mary e Percey erano ospiti di Lord Byron a villa Diodati, luogo mitico sul lago di Lemano, in Svizzera. Era una notte tempestosa, i tre, insieme a John Polidori, il medico di Byron, per passare il tempo avevano letto storie di fantasmi tedeschi; a un certo punto decisero, per gioco, per sfida, di comporre un racconto di quel genere; avrebbe vinto chi avesse scritto il più spaventoso. In quella stessa notte nascono Frankenstein e The Vampyre, di Polidori, il primo romanzo sul mito del vampiro per come lo conosciamo.
Frankenstein, o il moderno Prometeo, suo titolo originale, viene pubblicato anonimo e ha subito un enorme successo. Tra i suoi estimatori c’è Walter Scott che però lo attribuisce a Shelley. In una lettera la ventenne Mary ne rivendica la paternità con una consumata falsa modestia, da vecchia volpe:
Mi preme non lasciarla perseverare nel suo errore: supporre il signor Shelley colpevole di una mia prova giovanile, sulla quale, essendo stata composta in così verde età, ho preferito non opporre il mio nome, anche per rispetto nei confronti delle altre persone che lo portano.
La felicità dei due incomparabili amanti, come diceva Shakespeare di Antonio e Cleopatra, dura poco: nel 1822 Percy naufraga con la sua barca nel Golfo di La Spezia. In una lettera, che è un capolavoro di narrativa horror, Mary, tra presagi, incubi, cronaca reale, suspense, ricostruisce la tragedia.
Immagine di copertina by cea+