Già nella sua prima opera, Apollo et Hyacinthus, Mozart mostra i segni della sua genialità, in un contesto simbolico e fuori dal tempo
Della serie, anche gli undicenni scrivono opere. Non tutti sicuramente, ma per un certo Wolfgang Amadeus Mozart non è stato poi così complicato soprattutto vedendo il risultato di Apollo et Hyacinthus, sua prima esperienza nel teatro musicale che tanto amerà, andata in scena al teatro Litta il 16, 17 e 18 ottobre, produzione Coin du Roi Société d’Opéra.
Società privata, questa, dalla “mission sui generis”, soprattutto considerato il contesto socio-economico odierno: valorizzare il repertorio operistico preromantico dando lustro ai teatrini sociali e di corte che per scarsità di risorse economiche non possono più proporre opera. Un plauso particolare ai due avventurieri a capo di questa iniziativa, Alberto Luchetti, direttore generale, e Christian Frattima, carismatico direttore musicale dell’orchestra interamente composta da under 30.
Venendo all’opera, si tratta di una commissione che fu fatta a Mozart nel 1767 dal ginnasio dei benedettini di Salisburgo e che doveva fare da intermezzo all’ampio dramma di prosa, la Clementia Croesi, scritta da Padre Rufinus Widl (autore anche del libretto del lavoro del compositore salisburghese).
La storia è quella del celebre mito. Il triangolo amoroso tra Giacinto, Apollo e Zefiro è però nel libretto redatto da Widl ampiamente rivisitato. La base di partenza è il racconto che ne fa Ovidio nelle Metamorfosi per bocca di Orfeo, ma lo scabroso amore omosessuale viene sostituito da un ben più pio “ecosistema etero”, in cui l’oggetto da contendersi diventa Melia, sorella di Giacinto.
Ne risulta un libretto particolarmente pasticciato dove l’uccisione di Giacinto da parte di Zefiro è giustificabile come tentativo di mettere in cattiva luce agli occhi di papà Re Ebalo il dio e impedirne le nozze con l’amata Melia.
Di tutt’altra fattura, invece, la musica, stupefacente prologo di “un percorso iniziatico destinato a portarlo (Mozart) molto lontano”(Tommaso De Brabant). Gli influssi del primo settecento e di compositori come J. C. Bach si sentono tutti (basso continuo, recitativi a frase chiusa, arie con da capo).
Ma Mozart non si limita a questo: la musica ha già una forte caratura teatrale, elemento distintivo di tutta la sua produzione, non solo quella operistica. E si riesce già a percepire l’eleganza della sua scrittura apollinea, come se fosse già proiettato sugli anni a venire. Apollinea, badate bene, nel senso più profondo come la natura chiaroscurale del dio delfico, inizialmente divinità lunare trasfigurata poi in divinità luminosa, come la vita che contraddistinguerà il compositore, vicino alla luce artistica e sprofondato in una morte prematura priva di onori.
E la scenografia e i costumi di Davide Amadei sottolineano appieno questo aspetto. Il luogo d’azione simbolico, fuori dal mondo viene calcato da personaggi immersi in un’aura ginnica: statue appena uscite da una gipsoteca. Uno spazio bianco, quindi, in cui personaggi bianchi dagli abiti sport-wear (non proprio felicissima la scelta di felpe con cappuccio, coppole, smanicati e occhiali da sole body guard style) vanno a tracciare i segni del racconto, sotto l’abile regia di Alessio Pizzech. E lì si ha la metamorfosi: il bianco diventa il rosso del sangue di Giacinto, il velo nero di Melia, in lutto per la morte del fratello, il vermiglio dei giacinti in cui viene trasfigurato il cadavere dello sfortunato personaggio.
La direzione di Frattima è sicura, attenta alla corretta esecuzione filologica e mai sterile. Pregevole la scelta del diapason, il klassiktone mozartiano a 430 Hz, affrontato dall’orchestra con particolare bravura, e che riporta alla luce sonorità più calde e ricche di armonici. Commovente il recitativo accompagnato “non est” che conduce Giacinto negli ultimi respiri fino a cadere esanime tra le braccia del padre. Momento più alto della serata il duetto “Discede crudelis!” tra Apollo e Melia che mette in luce una Elina Shimkus, giovane soprano lettone, dalle capacità vocali e teatrali davvero notevoli.