Il film di Dietrich Bruggemann, premiato a Berlino, ha il pregio di offrirsi a più di una interpretazione. Indiscutibili le sue qualità formali e attoriali
Ci sono diversi modi di interpretare e leggere Kreuzweg. Le stazioni della fede, l’ultima fatica del regista tedesco Dietrich Brüggeman. L’opera, magnifico ritratto tanto sul piano registico quanto su quello attoriale di una realtà familiare e sociale animata da un sorprendente fervore religioso, non manca di stupire lo spettatore, flirtando qua e là con una certa ilarità propria del registro della commedia.
A un primo livello Kreuzweg, la cui sceneggiatura è curata dal regista e dalla sorella, Anna Brüggemann, è una critica impietosa a ogni estremismo religioso, mossa attraverso gli effetti devastanti che questo ha su Maria (Lea van Acken), una quattordicenne fragile e vulnerabile. La giovane prende a cuore le parole e le lezioni di catechismo di Padre Weber (Florian Stetter), un giovane sacerdote della (inesistente) società di San Paolo, creata sul modello della Fraternità di San Pio.
Nella prima scena il sacerdote interroga i suoi educandi sui precetti fondamentali della dottrina della Chiesa e si appella a loro come a “guerrieri della fede”. Indugiando un poco, dopo la lezione Maria gli chiederà come fare a diventare una santa, e la strada che le verrà indicata sarà quella della totale mortificazione dei piaceri e della carne. La severità e l’austerità dei precetti che Padre Weber cerca di trasmettere ai giovani, è rinforzata senza molta indulgenza dalla madre di Maria (Franziska Weisz), che disciplina la famiglia con raro fervore tirannico.
Maria è la maggiore di quattro figli. Nei confronti del minore, Johannes, di soli quattro anni, nutre un amore sconfinato, tanto da decidere di sacrificare la propria salute psicofisica nella speranza che questo possa aiutarlo a guarire da una malattia – forse l’autismo – che lo costringe al mutismo fin dalla nascita. Il pater familias (Klaus Michael Kamp) è un uomo triste e schivo, soggiogato alle volontà dispotiche della moglie. L’unica oasi di pace viene offerta alla malcapitata da Bernadette (Lucie Aron), ragazza alla pari che scalda Maria con un po’ di gentilezza e umana comprensione, pur senza immischiarsi negli “affari di famiglia”.
Considerando che l’opera, presentata in concorso all’ultima Berlinale ha vinto, oltre all’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura, anche il Premio della Giuria Ecumenica, è anche possibile vedere Kreuzweg, sebbene ciò sia poco verosimile, come una pellicola genuinamente dedita all’esaltazione della ricerca della vita eterna. L’opera, composta di 14 inquadrature da un’angolatura fissa che ricordano per certi versi l’austerità compositiva di Roy Andersson, istituisce un confronto diretto e inequivocabile tra il calvario di Gesù e il supplizio di Maria, ripercorrendo le tappe della Via Crucis.
Una terza via per interpretare Le stazioni della fede è pensarlo come una commedia nemmeno troppo nascosta, dal linguaggio tanto satirico da divenire quasi disturbante: così il ritratto del puritanesimo folle e senza confini né ragioni della signora Weisz potrebbe essere digerito con una risata da qualche spettatore cinico.
La madre di Maria molesta la figlia mossa dalla paura più che dalla rabbia, o da una condivisa osservanza dei precetti del suo credo: giunta alle soglie dell’adolescenza, la giovane deve essere monitorata e allontanata, grazie al potere della fede, da ogni possibile forma di tentazione carnale (dalla danza al canto, dalla cura della persona agli sport “peccaminosi”). E quasi rispettando la malsana velleità educativa del suo personaggio, Brüggemann si avvale di un linguaggio scenico secco e di una fotografia essenziale, esaltata dalla totale assenza di colonna sonora.
Mentre Maria è intenta a studiare nella biblioteca scolastica, sarà infatti tentata (non a caso l’episodio è intitolato “Gesù cade per la prima volta”) da Christian (Moritz Knapp) che la invita a partecipare alle prove del coro in cui canta, il cui repertorio include brani gospel e soul, musiche che la madre di Maria considera portatrici di messaggi satanici: la giovane, costretta a rifiutare la proposta, perseguirà con irrefrenabile convinzione la via della mortificazione della carne, grazie a cui renderà possibile il miracolo di cui si considera possibile protagonista.
Molti considereranno Kreuzweg fastidioso, o totalmente non-necessario, altri ne rideranno, e proprio qui riposa la grandiosità dell’opera, nella molteplicità delle interpretazioni possibili.