Il direttore argentino nel suo ultimo programma sinfonico alla Scala si trova a suo agio più nell’epica mahleriana che nel dramma di Mozart
«Viviamo per dir sempre addio» scriveva Rilke. Ultimo mese di Barenboim al Piermarini e ultimo programma sinfonico del maestro, con brani altrettanto di congedo: il concerto per pianoforte scelto è l’ultimo scritto da Mozart, così come la nona è l’ultima sinfonia di Mahler (la decima resterà incompiuta). Si direbbe un addio al quadrato!
Ma se i concerti di Mozart sono stati un’abitudine negli ultimi dieci anni del direttore argentino, il pubblico milanese non aveva ancora ascoltato il suo Mahler. È superfluo parlare della tensione in sala per questo nuovo inizio. Chi ne ha fatto le spese è il salisburghese, considerato da chi eseguiva e da chi ascoltava poco più di un’accordatura degli strumenti. Eppure il Concerto n. 27 è interessantissimo: lo stile galante, tipico dei grandi concerti in maggiore, è continuamente turbato da modulazioni improvvise che ne incupiscono il carattere. Nell’esecuzione l’ambiguità di questi colori è stata fraintesa, soffocata dalle dinamiche enfatiche e tardoromantiche dell’orchestra. Siamo fuori stile, difetto sistematico del Mozart di Barenboim – qui anche solista.
Travolta la distrazione settecentesca dall’impeto post-wagneriano, l’orchestra è entrata in uno stato di grazia. Si capisce sempre di più l’immenso debito che la Scala ha con Barenboim per l’esperienza del Ring di due anni fa, imprescindibile per poter suonare Mahler a questi livelli. La Nona riassume e sintetizza per intero lo stile sinfonico, e come accade ogni volta che si giunge alla piena comprensione di qualcosa, è inevitabile passare oltre: mutatis mutandis il Kretzschmar del Doktor Faustus direbbe che l’Adagio conclusivo è il commiato definitivo della sinfonia come forma artistica, o forse addirittura dell’intero Ottocento.
Sarebbero interminabili i commenti su questa straordinaria esecuzione: dalla cura del dialogo cameristico tra le prime parti dell’orchestra, alla precisione del carattere di ogni passaggio, al lirismo sviscerato dai cantabili degli archi. Insomma il pubblico può dirsi talmente appagato che si riescono a perdonare anche le défaillance dei corni scaligeri. Per fare gli aristotelici, è ormai evidente che Barenboim si trova più a suo agio nell’epica di Mahler che nel dramma di Mozart.
Filarmonica della Scala, dir. Daniel Barenboim
Wolfang A. Mozart Concerto n.27 in SI bem. magg. K595
Gustav Mahler Sinfonia n.9 in re magg.
al Teatro Alla Scala di Milano