Una grande mostra curata da Mazzocca ripercorre la storia di Hayez, uno dei massimi pittori dell’800: dalla partenza neoclassica agli ardori romantici e risorgimentali.
Hayez vittima della modernità, delle avanguardie. Troppo bravo, troppo ‘virtuoso’ per essere un vero artista: così la pensavano intellettuali e artisti dalla fine dell’Ottocento fino alla metà del Novecento. La parola d’ordine era genio e sregolatezza, non solo nella vita, ma anche nell’arte. Avere successo e creare opere belle, era considerato banale, da mediocre. Per essere un vero artista, bisognava rompere le regole accademiche. Nel caso della pittura: bando alla prospettiva, bando alle proporzioni ideali, bando alla correttezza anatomica, bando alle velature, alle sfumature nello stendere i colori. I mostri sacri del nostro Ottocento andavano abbattuti, erano troppo ingombranti, troppo perfetti, troppo scontati. La stessa sorte è capitata agli altri due pilastri della nostra cultura ottocentesca: a Manzoni in letteratura e a Verdi in musica. Rivedere oggi la grande mostra dedicata a Francesco Hayez ci permette di guardarlo al di là di paraocchi ideologici e luoghi comuni.
L’ordine proposto dal curatore Fernando Mazzocca è cronologico, ritmato dalla presenza degli autoritratti dell’artista: biografia e percorso artistico si intrecciano, dagli anni della formazione tra Venezia e Roma ancora nell’ambito del Neoclassicismo, al travolgente successo a Milano e in tutta Europa come protagonista del Romanticismo. “Le premier peintre vivant”, grande come e più di Ingres e Delacroix, lo considerava Stendhal. La sua fama era legata soprattutto ai grandi quadri storici, come Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro Patria del 1826 – 1831, l’opera simbolo del Risorgimento; per Mazzini, Hayez “è grande e solo: lo storico della razza umana, e non di qualcuna delle sue individualità preminenti’. Pur riconoscendone l’intento di coinvolgere e commuovere il pubblico, l’impianto generale delle grandi tele storiche, l’affollamento delle scene, il patetismo esasperato dei gesti, suonano un po’ retorici all’occhio moderno. Naturalmente è negli autoritratti che Hayez esprime maggior libertà e modernità e, come i grandi pittori del Rinascimento, ma anche come Hitchcock nei suoi film, entra come comparsa nei quadri storici, addirittura come protagonista nella serie de I due Foscari o nel dipinto-testamento che è il Martin Faliero del 1867.
Ed è nei ritratti dei contemporanei e soprattutto nei nudi femminili che Hayez è ancora magnifico. Prendiamo ad esempio la Maddalena Penitente del 1825, in mostra posta a confronto con la scultura dello stesso soggetto di Antonio Canova del 1794. La poetica è la stessa: l’incantevole carica sensuale esaltata dai panneggi che invece di celare esaltano la nudità; la levigatezza, la morbidezza delle carni in contrasto con la ruvidezza della croce in bronzo nel caso di Canova, in legno per Hayez. Di fronte a tanta bellezza seduttiva è difficile pensare al tema religioso, piuttosto che alla dicotomia tra Classico e Romantico che dominava il nostro ottocento e che ha improntato la nostra formazione al liceo.
Ancora più esplicita nel suo messaggio erotico è Venere che scherza con due colombe ( Ritratto della ballerina Carlotta Chabert) del 1830: la donna, vista da dietro, completamente nuda, salvo un cordino rosso legato al braccio a disegnare una parabola sul suo maestoso sedere, per poi legare due candide colombe, fu giudicata dagli oppositori, ‘la più schifosa donna del volgo’, ma per gli intellettuali impegnati e progressisti, come il grande teorico Domenico Romagnosi, “egli tolse dal vero contemporaneo tutto quanto di trascelto gli si offerse alla fantasia, ritrasse la vita stessa, e lasciato il buono stile accademico agli amatori degli sbadigli, continuò nello stile che egli da solo creossi e che perfezionò studiando il vero vivo e il vero de’ suoi tempi”.
Hayez, a cura di Fernando Mazzocca, Gallerie d’Italia, Piazza Scala, fino al 21 febbraio 2016.
Immagine di copertina: Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria, 1826-1831. Courtesy Gallerie d’Italia