Un 40enne depresso, una ragazza in crisi, la signora Toku, che fa la marmellata più buona della città. Una regista-fotografa li ha messi insieme: con grazia
Nel titolo si parla di “ricette”, ma in realtà di una ricetta sola si tratta in tutto il film: quella della marmellata di fagioli azuki, che deve fungere da ripieno dei dorayaki, tipici dolcetti giapponesi che somigliano ai pancake. Sentaro, il protagonista maschile di Le ricette della signora Toku di Naomi Kawase, è un 40enne dallo sguardo spento che tira a campare gestendo un chiosco che vende appunto dorayaki. Un lavoro come un altro, fatto senza passione, e con inevitabile risultato che gli affari non vanno a gonfie vele. L’unica cliente abituale è una giovane studentessa, una ragazzina impacciata alla probabile ricerca del padre che le manca.
Tutto cambia il giorno in cui davanti al chiosco si presenta l’ottantenne Toku (Kirin Kiki), vecchietta dalle mani deformate e nodose che offre i suoi servigi in cambio di un piccolo salario e un pizzico di stima. Sentaro accetta l’aiuto controvoglia, ma ben presto scopre che la marmellata di fagioli della misteriosa signora è talmente buona da sembrare un nettare degli dei, e da trasformare i suoi banali dorayaki in una leccornia capace di attirare vere folle di clienti golosi.
Un piccolo miracolo all’ombra dei ciliegi in fiore, che permette a tre anime ferite e stanche di ritrovare il sorriso e la fiducia negli altri. Naturalmente non durerà. Infatti, in Giappone, la spettacolare ma brevissima fioritura dei ciliegi è considerata simbolo della fragilità dell’esistenza umana. La grettezza del mondo, sotto forma di paure e pregiudizi, riprenderà il sopravvento mettendo a dura prova il timido tentativo di felicità dei tre protagonisti, pur senza riuscire a cancellare la speranza di un nuovo inizio. O di una seconda possibilità, se la vogliamo dire in un modo più consono al modello americano, al quale siamo certo più abituati, almeno al cinema.
Se dietro la macchina da presa ci fosse stato un regista Usa sicuramente questo aspetto sarebbe stato sottolineato in modo ben più pressante, come sempre accade nelle storie di caduta e rinascita di stampo hollywoodiano. Qui siamo invece immersi in un universo squisitamente nipponico, e soprattutto dietro la macchina da presa c’è la regista e fotografa Naomi Kawase, poco conosciuta in Italia ma assidua frequentatrice di festival europei, in particolare Cannes, dove nel 2007 si era portata via il premio della giuria per il rarefatto The Mourning Forest. Così l’idea di una seconda possibilità è raccontata in modo elusivo, corteggiando il mistero e concentrandosi soprattutto sul non detto.
Specie la prima parte del film, la più riuscita, si nutre proprio di mistero, intrecciando sguardi, pensieri e sentimenti senza saturare lo schermo e il racconto, e lasciando allo spettatore il compito di riempire gli spazi vuoti, muovendosi all’interno del film come in un’esperienza prima di tutto sensoriale. Senza fretta. Proprio l’invito che l’anziana Toku rivolge a Sentaro quando cerca di trasmettergli il segreto della sua squisita marmellata: bisogna procedere lentamente, con tanta pazienza, perché i fagioli azuki non vanno semplicemente cotti, bisogna accoglierli, dar loro il tempo di abituarsi allo zucchero prima di accendere il fuoco e trasformarli in marmellata. E bisogna saperli ascoltare: a questo mondo, infatti, ogni cosa ha una storia da raccontare.
Le ricette della signora Toku, di Naomi Kawase, con Kirin Kiki, Masatoshi Nagase, Kyara Uchida