“Franny” di Andrew Renzi racconta la parabola autolesionista di un miliardario in crisi esistenziale. E l’ardua convivenza tra lui e la “nipotina” Fenning
Richard Gere interpreta Franny, un eccentrico miliardario filantropo che, arrivato a sessant’anni, non ha un vero lavoro, né una casa, nè veri legami, e cerca di sopravvivere ogni giorno aiutandosi con un misto di alcool e morfina per sopportare il senso di colpa che lo divora. Si lascia vivere subendo il lento scorrere del tempo, finché la sua esistenza viene sconvolta dalla telefonata della sua figlioccia: a cinque anni dall’incidente automobilistico in cui gli unici veri amici di Franny hanno perso la vita, ecco che Olivia (Dakota Fanning), la loro unica figlia rimasta senza genitori, gli chiede aiuto.
E Franny, che vede nel ritorno di questo fantasma del passato l’occasione per redimersi, cerca disperatamente, lungo tutta la vicenda del film, di aiutare la ragazza procurando un lavoro al marito (Theo James) nell’ospedale di sua proprietà, regalando alla giovane coppia una casa e seguendoli durante la gravidanza di lei.
Ma questo singolare quadretto familiare inizia a deteriorarsi per l’invadenza smisurata di questo vecchio “zio” ricco e per la sua totale dipendenza da varie sostanze e droghe senza le quali il dolore fisico e interiore sono laceranti. E quando le scorte di morfina iniziano a scarseggiare, Franny perde il controllo, iniziando a girovagare tra ospedali e farmacie alla frenetica ricerca di qualcuno disposto a vendergli senza ricetta ciò di cui ha bisogno. In preda alla disperazione più totale, Franny commette atti di autolesionismo nel tentativo di suscitare un senso di pietas in qualche medico, disposto a prescrivergli la dose di morfina.
Così il bisogno di redenzione del protagonista, filo conduttore di tutta la narrazione, permette all’ancora affascinante Richard Gere di passare dalle spider di lusso e dai vestiti firmati ai maglioni sporchi di sangue e ai locali promiscui dove alcol e droga regnano sovrani. Il regista utilizza classici espedienti per suscitare nel pubblico commozione e simpatia per questo vecchio filantropo, che, nell’aiutare gli altri, cerca un modo per aiutare anche se stesso. Che diventa l’unico vero personaggio del film, affiancato com’è da personaggi secondari, oscurati da una figura esuberante ed istrionica lontanissima dal lato buddhista e meditativo dell’attore.
Ma in questo modo, non solo non sono indagati e approfonditi gli aspetti psicologici degli altri caratteri, ma viene schiacciato il potenziale di professionisti come Dakota Fanning, così promettente fin da bambina e molto apprezzata tutt’oggi. E per quanto Richard Gere riesca ancora a tenere la scena in modo soddisfacente, il film risulta privo di una forza coinvolgente, mantenendo un profilo superficiale dall’inizio al prevedibile finale. Lo sforzo continuo del regista di provocare forti emozioni nel pubblico, resta vano, e lascia un sapore amaro di aspettative disilluse.
Franny di Andrew Renzi, con Richard Gere, Dakota Fanning, Theo James