Il secondo film diretto dall’attrice toscana racconta la crisi d’identità di Flavia, divisa tra due ex-mariti, due figli, vari amici nevrotici e una cagnolina
Come spiegato dal mellifluo voice-over della regista-interprete Laura Morante, in campo musicale l’Assolo si riferisce a una composizione eseguita da una voce o uno strumento solista. Per estensione, indica una prestazione individuale particolarmente brillante, che l’attrice qui declina nel campo delle relazioni interpersonali. Quella performance individuale cui allude sul finire della pellicola, altro non è che l’autonomia e l’autarchia, quel “farsi isola” emotivo, inaccessibile per molti e socialmente considerato alla stregua di un deficit, e qui certamente non rappresentato all’altezza di The Lobster di Yorgos Lanthimos.
Il problema dell’irraggiungibilità dell’autarchia sentimentale è declinato sull’esperienza di Flavia (la Morante), una donna che, arrivata a 50 anni, non riesce a svincolarsi da alcuni modelli comportamentali “forti”: i due ex mariti e le nuove rispettive mogli, le amiche nevrotiche, altri dispotici sconosciuti. Pur di non emanciparsi, la donna preferisce perdersi nei meandri di una labirintica architettura di vicende sentimentali da cui cerca di uscire grazie all’aiuto della fidata terapeuta (Piera Degli Esposti), con cui intrattiene un rapporto di dipendenza e morbosa complicità tanto simile a quello più volte indagata dall’opera di Moretti e prima ancora Woody Allen.
Celebrata dai produttori come “una commedia divertente e intelligente su una donna meravigliosamente imperfetta”, il secondo film da regista della Morante, anche sceneggiatrice, porta in superficie tematiche nascoste dal fiume carsico della sua carriera: l’insicurezza, il timore della mediocrità, l’ansia e, soprattutto, il disagio sociale. Per la prima volta alle prese con una vita “da scoppiata”, dopo due matrimoni fallimentari, con due figli e un contesto lavorativo in cui risulta ormai obsoleta e polverosa, dall’alto del suo mezzo secolo, Flavia trae conforto dalle cure che dispensa con generosità alla cagnolina maltrattata dei vicini di casa, mentre cerca il coraggio di indossare un vistoso cappello rosso parigino all’ultima moda.
Assolo non è certo un’esperienza salutare, né a livello registico né contenutistico: la forma si adatta perfettamente a quella incomunicabilità e disistima di cui la protagonista soffre, incedendo con scarsa fluidità fino all’atteso novantasettesimo minuto. Indubbiamente l’attrice che portava il gelato a Nanni Moretti in Bianca, poi oggetto del desiderio in Sogni d’oro, alza qui la posta in gioco rispetto al precedente, sottovalutato Ciliegine – candidato a un Nastro come miglior commedia e a un David per l’esordio dietro la macchina da presa – anche per quanto concerne il cast attoriale, in cui troviamo Francesco Pannofino, Angela Finocchiaro e Marco Giallini. Un progetto goffamente imperfetto come la protagonista di cui narra le gesta, un anti-eroe della nostra contemporaneità alla ricerca di un’autostima perduta o forse mai avuta.