La pianista Yuja Wang, accompagnata dall’orchestra della Tonhalle di Zurigo diretta da Lionel Bringuier, nel suo ultimo album affronta Ravel e l’amato Fauré
Se scopri il sopra va coperto il sotto, regola aurea del look femminile, anche per le pianiste. È a vita alta la gonna lunga, “di color fosco”, ma è quasi nulla il toppino fucsia di Yuja Wang: così vestita su uno sfondo nero alla Malevič nell’immagine di copertina del suo nuovo Ravel, fuori da ottobre 2015 per Deutsche Grammophon. La accompagna l’orchestra della Tonhalle di Zurigo diretta da Lionel Bringuier.
Per i natali cinesi e il successo fulmineo la Wang è impropriamente associata a Lang Lang, pur avendo dalla sua, oltre a più scaltrezza nello sguardo, un tocco espressivo, brillantemente irrequieto e mai nevrotico.
Adopera entrambe le mani nel Concerto in sol, solo la sinistra in quello in re – scritto appositamente per Paul Wittgenstein, non filosofo ma pianista, mutilato nella Grande Guerra. Nel mezzo sta Gabriel Fauré con la Ballata in fa diesis, ma quella originale per pianoforte soltanto: brano caro alla Wang perché fu il primo che suonò insieme a un’orchestra, nell’adattamento di Fauré.
Affiorano tenui i colori del meccanismo raveliano, in cui un solo dito sembra una mano intera e viceversa. Il piacere di suonare Ravel è puro e semplice, «come mangiare il cioccolato», dice la Wang: e si capisce che è già una grande perché non sale nemmeno un’ombra di imbarazzata pelle d’oca per l’ingenuità del commento. La Wang ha come un candido baricentro che la sostiene sempre: nella luminosità del Concerto in sol, in bilico tra Gershwin e Saint-Saëns, come nelle desolanti agilità del Concerto per mano sinistra.
E anche se i concerti di Maurice Ravel, quasi blues tardo impressionista, paiono solo una frizzante sintesi di estasi e sensualità, essi – soprattutto quello per mano sinistra – raccolgono tanti degli echi angosciosi de La valse, forse addirittura del Sacre stravinskiano. Così le immagini ritmiche fintamente pétillant conducono a un senso di distruzione della civiltà, a quell’occidentale tramonto della ragione, che negli anni dai dieci ai trenta del novecento si è sostenuto su un gusto decadente di ovattato nichilismo. Senza mai diminuire il suo charme, la pianista ventottenne sa anche evocare sciagure, per poi tornare con freschezza ad abbellimenti ai limiti della frivolezza.
Per sentirla dal vivo bisogna attendere le tre date romane di Santa Cecilia il prossimo giugno – 4, 6 e 7, sempre con la direzione di Lionel Bringuier. Attesissimo l’outfit, ma non quanto il suo Ravel.
Yuja Wang Ravel (Deutsche Grammophon)
Immagine di copertina: Norbert Kniat / DG.