Discreta e infaticabile, Maddalena Novati ha dedicato alla contemporanea la sua esistenza, prima allo Studio di Fonologia della Rai e ora con l’associazione NoMus
Maddalena Novati, classe ’49, diploma in pianoforte e didattica della musica, segni particolari: è colei che ha salvato lo Studio di Fonologia della Rai.
Oggi infaticabile “regista” dell’associazione NoMus con la quale organizza cicli, rassegne musicali (dal 19 gennaio Giacinto Scelsi) dedicate ai grandi musicisti, perlopiù di musica contemporanea, al Museo del Novecento di cui è collaboratrice emerita.
Busso alla sua porta in zona Giambellino e si spalanca davanti a me un mondo. C’è di tutto in quella stanza, da apparecchiature a cui non riesco a dare un nome, a scaffali pieni di libri, a mobili alti e bassi che seppur chiusi lasciano intuire di essere al limite della loro portata.
D’altronde, è cosa abbastanza comune per chi va in pensione scegliere di ripensare completamente la propria vita. C’è chi fa di necessità (i pochi danée) virtù e sceglie l’avventura oltremare e chi decide come costei di vendere casa, comprarne una nuova con annessa “bottega” e usare i soldi dell’incentivo del pensionamento Rai per fondare un’associazione dal nome emblematico, NoMus.
Di che cosa si occupa NoMus?
NoMus è un’associazione no profit che si occupa di promuovere la ricerca nel campo della musica del novecento e della musica contemporanea. Il lavoro maggiore è dato dal salvataggio di archivi e fondi musicali contenenti materiali audiovisivi e multimediali nonché di censire, raccogliere e informatizzare secondo le più moderne tecniche di conservazione e restauro i beni cartacei e audiovisivi acquisiti. L’associazione promuove inoltre concerti, workshop, pubblicazioni, ricerche che tendano a diffondere e approfondire questa tipologia di repertorio.
Qual è il significato del nome?
NoMus è un acronimo lasciato volutamente aperto come vorrei fosse il lavoro dell’associazione, interessata a ogni corrente musicale e non chiusa su pochi autori. Potrebbe voler dire Novecento Musica, o anche Novati Musica. Potrebbe essere anche una provocazione e significare No Musica come se ci si continuasse a interrogare se questa sia davvero musica.
Cosa avete raccolto dal 2013, anno di nascita dell’associazione, ad oggi?
Abbiamo raccolto e continuiamo a raccogliere di tutto. Ad oggi abbiamo 10 fondi il più grande dei quali è quello dell’ Autunno Musicale di Como. Solo questo comprende 5000 foto, 300 locandine e manifesti, programmi di sala, depliants, cataloghi, 10 tesi, oltre 2000 audiocassette, video e oltre 200 faldoni di documenti cartacei.
Tra i materiali raccolti qual è a suo giudizio quello più curioso?
È difficile da dire ma probabilmente direi il fondo Gacarù, donatoci interamente da una famiglia di corniciai che aveva bottega in via Carlo Imbonati da quattro generazioni. Si tratta di un pacco di documenti a partire dal 1850 che riporta tutta la vertenza e diatriba dell’Associazione Palchettisti della Scala nei confronti della prefettura e del comune di Milano. Le famiglie nobili avevano infatti ottenuto da Maria Teresa d’Austria la proprietà dei palchi e l’esenzione dal pagamento di tasse sugli stessi visto il loro contributo economico per la costruzione del teatro nel 1776. Senonché, nel 1861 il neo-stato unitario, bisognoso di risorse economiche, mise l’ “IMU” sui palchi con ovvia protesta della nobiltà meneghina.
C’è un documento al quale si sente più legata?
Senza dubbio il primo numero del Domaine Musical di Boulez. Il motivo, oltre al valore storico, è professionale. Con lui, come anche con Berio, Stockausen, Bussotti, Cage ho lavorato decine di volte in Rai. Ho i loro segni e le loro annotazioni sulle partiture che utilizzavano per le registrazioni. Con Berio ebbi addirittura un carteggio per la richiesta dell’utilizzo di una sua musica per un libro di didattica. Lui, oltre alla liberatoria, mi mandò anche in allegato una registrazione inedita del brano.
A proposito di registrazioni, meglio l’analogico o il digitale?
Non saprei dire. Probabilmente, però, la base del dibattito dovrebbe essere un’altra. Le prime volte che dovevamo registrare o utilizzare un suono campionato si aggiungeva successivamente della “sporcizia” in sottofondo per far sembrare i suoni più naturali. La questione è che nella vita di tutti i giorni abbiamo sempre suoni “sporchi”, forse è per questo che sentiamo il vinile “più caldo” rispetto al cd.
Vi limitate solo alla “musica colta” o guardate anche ad altri mondi sonori?
Il nostro lavoro è incentrato principalmente sulla musica d’arte ma non è limitato a questa. Un esempio emblematico è il Fondo Kojucharov il quale comprende partiture e nastri analogici relativi alla produzione per cinema di Vasili Kojucharov (compositore, direttore d’orchestra, n.d.r.) La cosa straordinaria di questo fondo è che possediamo anche i suoi quaderni di lavoro per cui possiamo vedere tutti gli appunti presi relativi alle sincronie tra musica e sequenze filmiche. Si tratta di lungometraggi come Django, il bastardo del 1969, non certo capolavori, ma dal grandissimo interesse poiché ci forniscono il percorso completo compiuto dal musicista, dalla composizione fino agli aggiustamenti apportati per sincronizzare al meglio musica e immagini.
Veniamo all’omaggio a Giacinto Scelsi che proponete quest’anno. Perché questa scelta?
Tutti i cicli di concerti che proponiamo non sono legati ad anniversari. Il filo conduttore è il legame con quello che era lo Studio di Fonologia. Si spiegano così gli omaggi a Cathy Berberian (2013) o anche l’ultimo a Maderna che si è appena concluso. Scelsi in realtà si stacca da tutto questo contesto ed è interessante proprio per questo.
Certamente una figura sui generis nel panorama musicale del ‘900.
Assolutamente. Basti pensare alla sua estrazione sociale, nobile di famiglia, conte di Ayala Valva. Non frequentò mai il Conservatorio ma solo perché i maestri andavano direttamente a casa sua. Ci sono testimonianze incredibili che riportano di personaggi come Giacinto Sallustio, Alfredo Casella, John Cage ospitati a casa sua giorni interi, anche mesi. Per non parlare dei suoi rapporti con Jean Cocteau e Virginia Woolf nel suo soggiorno a Parigi. È sconvolgente pensare a quale cultura a 360 gradi potesse avere questo uomo avendo rapporti di vera amicizia con questi mostri sacri ed è davvero interessante studiare la sua originalità rispetto ad essi. Gli studi su una nota sola, l’importanza del silenzio nella sua musica lo accomunano a Cage, ma l’interesse per le filosofie orientali, la meditazione zen e yoga già mostrato negli anni ’40-’50 lo pongono come precursore di una musica che arriverà, perlomeno in Italia, molto dopo.
Con quale criterio avete selezionato le sue opere dallo sconfinato catalogo?
Il criterio è innanzitutto oggettivo. Lo spazio riservatoci dal Museo del Novecento e il budget limitato non ci permettono di proporre lavori per grandi organici ma questo non limita la nostra inventiva. Con alcuni studenti del Conservatorio proporremo ad esempio un concerto che legherà le musiche di Scelsi al quadro del pittore futurista Giacomo Balla Automobile+velocità+luce del 1913. E poi ci sarà la consueta partecipazione del nostro gruppo da camera in residence, il Milano ‘808 Ensemble, e di musicisti di primissimo piano.
La polemica post-mortem legata all’autenticità delle sue composizioni è superata?
Direi proprio di sì. Scelsi aveva un modo di lavorare atipico: improvvisava ore e ore al pianoforte o sull’ondiola (strumento musicale che permette di avere i quarti di tono n.d.r.) registrando tutto su nastro magnetico, faceva trascrivere ad altri collaboratori le musiche su carta e solo successivamente lavorava sulle partiture. È falso quindi attribuire le sue composizioni a Vieri Tosatti o altri. Questa scelta non era sicuramente legata ad una sua incapacità ma piuttosto alla sua forma mentis che vedeva l’atto compositivo come un’azione metafisica e spirituale, lontanissima dall”artigianato” di Berio.
Venendo alla Maddalena Novati appassionata di musica, come valuta il mondo della musica contemporanea oggi?
Non mi sembra che le grandi istituzioni ci credano ancora davvero e vedo molti bravi compositori, fuori dai circuiti delle grandi case editrici come Ricordi, Suvini Zerboni o Salabert, che per farsi eseguire devono essere soci di un’associazione o far parte di un centro di compositori. Penso anche che, dall’altra parte, molte volte si componga innamorandosi troppo del suono e lasciando in secondo piano l’idea di un pensiero strutturato. Ci vuole anche questo perché il suono possa diventare musica e quindi memoria.
C’è qualcosa che la musica contemporanea può importare dal mondo della televisione, in crisi ma pur sempre nazionalpopolare, per incrementare il proprio pubblico?
Sicuramente la qualità delle produzioni. Parlando della Rai, posso dire che tutt’oggi, nonostante vada in onda molta spazzatura, la qualità dei mezzi e le risorse umane che vi operano sono di altissimo livello, al di sopra di tante realtà private. Basti pensare ai programmi di Philippe Daverio o a quello che era lo studio di Fonologia, vera miniera oggi di documenti storici unici. Mi viene in mente a proposito un concerto che riprendemmo negli anni ’80, a Tarquinia, nella chiesa di San Pancrazio. Dopo l’esecuzione nacque un dibattito tra esecutori e pubblico che chiedeva il perché di quello che aveva appena ascoltato. Prodotti di qualità e concerti destrutturati come in questo esempio aiuterebbero a migliorare la situazione.
NoMus – Omaggio a Giacinto Scelsi (1 marzo, 19 aprile, 14 giugno 2016) – Museo del Novecento