Vent’anni fa usciva “Infinite Jest”. In questi giorni è nelle sale italiane “The end of the tour”, film tratto dall’intervista di David Lipsky a Foster Wallace “Come diventare se stessi”. Oggi vi raccontiamo uno dei più importanti romanzi degli anni duemila, il tour promozionale e il film di James Ponsoldt
Vent’anni di dipendenza
Nell’estate del 1994 un ragazzone con alle spalle un romanzo, una raccolta di racconti, un ricovero in un ospedale psichiatrico e dipendenze varie da alcol e marijuana, sta consegnando un manoscritto di circa 1070 pagine all’editor Michael Pietsch della Little, Brown and Company. Il testo è stampato in corpo nove e interlinea singola ed è stato battuto al computer indossando un paraorecchie, di quelli che usano gli addetti sulle piste di atterraggio.
Dopo aver maledetto lo scrittore e aver perso qualche diottria, sei mesi dopo, Pietsch invierà il suo riscontro in una lettera di venticinque pagine ammettendo di essere interessato al progetto a patto di effettuare alcuni tagli. Prima di venderli, i libri devono essere stampati, senza contare l’impatto di un’opera di tale mole sui lettori.
Il primo febbraio del 1996 viene pubblicato Infinite Jest di David Foster Wallace. Proprio come sulla copertina dove il titolo del libro affiora da una coltre di nubi, lasciando intravedere il cielo azzurrino, in breve tempo Wallace emerse come uno dei degni eredi di Thomas Pychon e del postmodernismo dei grandi come DeLillo, per la sua capacità di incarnare e, allo stesso tempo, descrivere l’americanità contemporanea.
Strano, perché Infinite Jest è ambientato in un futuro imprecisato dove il tempo è scandito dagli anni che prendono il nome dai prodotti e dalle aziende che li sponsorizzano: Anno del Whopper, Anno dei Cerotti Medicati Tucks, Anno della Saponetta Dove in Formato Prova, Anno del Pollo Perdue Wonderchicken, Anno della Lavastoviglie Silenziosa Maytag, Anno dell’Upgrade per Motherboard-Per-Cartuccia-Visore-A-Risoluzione-Mimetica-Facile-Da-Installare Per Sistemi TP Infernatron/InterLace Per Casa, Ufficio, O Mobile Yushityu 2007 (sic), Anno dei Prodotti Caseari dal Cuore dell’America, Anno del Pannolone per Adulti Depend, Anno di Glad.
Gli Stati Uniti hanno occupato il Canada e il Messico diventando l’O.N.A.N. (Organization of North American Nations) sotto la bandiera che raffigura un’aquila con cappello messicano, una foglia d’acero e una scopa. La scopa perché Gentle, il presidente maniaco dell’igiene, ha scaricato tutta la spazzatura nella Grande Concavità, annessa allo stato indipendente del Québec.
Il gruppo estremista quebechiano, Assassins en Fauteuils Roulants (gli assassini sulle sedie a rotelle), cerca vendetta e intraprende la ricerca dell’Intrattenimento, un film in grado di creare una dipendenza immediata fino alla morte. Parallelamente si seguiranno le vicende di due strutture situate a Boston: l’ETA (Enfield Tennis Academy) e l’Ennet House, casa di recupero per tossicodipendenti.
Il libro, più che raccontare una storia, si allontana dai canoni narrativi conosciuti finora, abbandonando la linearità e i rapporti di causa-effetto, per sviluppare un intreccio di storie che si gonfiano potenzialmente all’infinito. Si salta dalla prima alla terza persona, si leggono flussi di coscienza, piccole introduzioni di storie che si interrompono per non essere riprese mai più, voci di uomini, donne e bambini. E poi l’incredibile apparato di note, colmo di tecnicismi, definizioni matematiche e farmaceutiche, che interrompono la lettura e riportano il lettore alla realtà dell’autore mentre è ancora sospeso nella narrazione, come a creare un cortocircuito tra uno stile vagamente retorico e un commento ironico.
Questo non vuol dire svalutare il senso della storia in sé per sé, ma è un procedimento che incarna il significato della letteratura per Wallace. Tema ricorrente delle sue ossessioni era scendere dal piedistallo riservato allo status di scrittore, che comportava il rischio di ridurre tutto a una conversazione col proprio ego – in Questa è l’acqua rifiuterà l’idea dell’essere «al centro assoluto dell’universo, la più reale e vivida e importante persona che esista» – e ascoltare e osservare per carpire il mondo. La stessa struttura della letteratura d’avanguardia ben si presta a riportare fedelmente la reale essenza della vita. Infatti, l’ordine cronologico delle narrazioni canoniche è inadatto all’entità stroboscopica di avvenimenti e informazioni che investono quotidianamente un individuo. Per dirla con le stesse parole di Wallace in Come diventare se stessi:
…c’è una serie di magie che la letteratura può compiere per noi. Ce ne saranno tredici diverse, e non so neanche di quante di queste si può davvero parlare. Ma una ha a che fare con la sensazione di…la sensazione di cogliere, di cogliere l’effetto che ha su di noi il mondo circostante in una maniera in cui al lettore viene da dire: «Allora un’altra sensibilità come la mia esiste». Qualcos’altro dà questa sensazione a qualcun altro. E così il lettore si sente meno solo.
(David Lipsky, Come diventare se stessi, traduzione di Martina Testa, Minimum fax, 2011, p. 95)
Wallace era seriamente spaventato dalle implicazioni di presentare ai lettori un’opera che rischiava di non ricompensare i loro sforzi. In fondo sapeva che quello che stava mettendo davanti al suo pubblico aveva una bella dose di metanarrazione: era una scelta tra due tipi d’Intrattenimento, quello della letteratura impegnata e il piacere immediato di intrattenimenti più semplici.
La convivenza con diversi tipi di dipendenza (sport, droghe, televisione, sentimenti), ha poco a che fare con il futuro distopico e rappresenta una sorta di conformazione di base che lo stesso autore e le generazioni successive sperimentano sin dalla nascita.
Pensare che Wallace sia un apocalittico, un critico della vita americana che persegue il rifiuto di canoni prestabiliti significa ridurre la sua scrittura e il suo pensiero a una lotta contro i mulini a vento. Lui parlava da integrato, da consumatore compulsivo di dipendenze. Infinite Jest non è un romanzo contro l’Intrattenimento, come non è un romanzo sulla droga: è un Intrattenimento alternativo allo svuotamento di se stessi e si inserisce in quel continuum inevitabile per l’uomo moderno.
L’unica cosa di cui ero certo è che volevo scrivere qualcosa che non fosse solo una satira raffinata. Volevo scrivere qualcosa che parlasse a livello, molto, molto profondo dell’America. E in fondo le caratteristiche che trovo più distintamente americane in questo momento, alle porte del nuovo millennio, sono legate sia all’intrattenimento sia a uno strano, irresistibile…uhm…desiderio di abbandonarsi a qualcosa.
(David Lipsky, Come diventare se stessi, traduzione di Martina Testa, Minimum fax, 2011, p. 149)
The End of the Tour e l’impatto di Wallace
Il suicidio di David Foster Wallace nel 2008 è una fine troppo potente per non influenzare attenzioni e giudizi intorno alla sua figura. Da quel momento in poi, il successo e molte delle interpretazioni sulla sua narrativa sono state in parte legate al presagio della morte.
Quel meccanismo inconscio che si attiva nei lettori e su chiunque si avvicini al ricordo di Wallace toccato dalla morte, si allarga fino a commentare, interpretare e avvicinare l’autore alla dimensione dell’umanità. Tutto lecito, fa parte del potere dei lettori, ma spesso porta a speculazioni non sempre vicine alla realtà.
The End of the Tour, in uscita in Italia l’11 febbraio, è un film consapevole di tutto questo. A dimostrarlo è la sua estrema fedeltà all’opera da cui è tratto. Come diventare se stessi (edito da Minimim fax, con la traduzione di Martina Testa) di David Lipsky è il libro-intervista, risultato delle registrazioni che il giornalista di Rolling Stones fece a Wallace in cinque giorni dopo la conclusione del tour promozionale per Infinite Jest.
Le distese innevate del Midwest, i viaggi in auto, i fast food e i centri commerciali compongono una sorta di viaggio on the road e un parziale racconto della vita di Wallace. Il pregio della pellicola è approfittare del visuale per imbastire una storia parallela: Lipsky è un giovane trentenne che ha rimesso in sesto la sua vita diventando un reporter di Rolling Stone e pubblicando due libri dal discreto successo; Wallace è di quattro anni più grande di lui, ha alle spalle una tesi in filosofia, un romanzo pubblicato prima della laurea ad Amherst, una raccolta di racconti, un libro di mille pagine e un’insaziabile voglia di aspirare al meglio di quello che ha.
È probabilmente questo uno dei difetti della pellicola: caratterizzare così bene lo scrittore tanto da innalzarlo a vero e proprio guru, sottolineandone le stramberie, con un occhio sempre attento a quello che gli sarebbe accaduto in futuro.
La scelta del cast, al contrario delle proteste dei fan, è riuscita alla perfezione. Jason Segel, meglio conosciuto per la fama raggiunta nei panni di Marshall nella serie tv How I Met Your Mother, è a suo agio nell’impersonare Wallace, tanto da regalarci un ritratto che si avvicina alla realtà persino nell’aspetto fisico (un ragazzone di circa un metro e novanta) completando il tutto con un trucco impeccabile.
Lo stesso vale per Jesse Eisenberg che interpreta Lipsky. Raggiunta la notorietà nel ruolo di Zuckerberg in The Social Network, ha collaborato anche con Woody Allen in To Rome With Love, oltre a essere impegnato nel teatro e nella televisione. La scelta di Eisenberg ha arricchito la pellicola mostrandoci il personaggio Lipsky, l’altro vero protagonista che nel libro rimane adombrato dalla caratura dell’intervistato. La dinamica assomiglia al rapporto di due fratelli dove però è il più piccolo ad apprezzare gli sforzi e i traguardi raggiunti. Il giovane giornalista non conosce l’invidia per l’altro – la declina in stima –, non conosce la tensione per aspirare sempre alle cose che ancora non si hanno, la volontà di non farsi travolgere dalla fama e dalla propria intelligenza, e in questo si dimostra più maturo di Wallace.
Con questo tipo di film, il timore è che la rappresentazione di una personalità così unica nel suo genere diventi la costruzione di un mito che, tuttavia, rischia di non rimanere lontano dai gusti degli affezionati. La stessa famiglia di Wallace non ha riconosciuto la pellicola affermando che “David non sarebbe mai stato d’accordo nel basare un film sulle trascrizioni delle sue affermazioni”, e forse è vero: non avrebbe mai accettato un personaggio di se stesso, lontano dalla verità, che lui stesso non avrebbe potuto controllare.
È da apprezzare il coraggio del regista James Ponsoldt – sta curando anche la sceneggiatura basata su Il Cerchio di Dave Eggers – che imbastisce una visione lenta, piacevole, e rappresenta lo scrittore come geniale, affettuoso e sempre in vena di battute, così com’è stato descritto Wallace dai molti che l’hanno conosciuto.
Vale la pena di vedere The End of the Tour, conoscendo l’opera di Wallace. Vale la pena perché proprio come David Lipsky che, prima di andare via, fa una lista delle cose che David Foster Wallace ha in casa – «Copertina di Spin con Alanis Mourisette che scatta una foto fra gli scaffali di un supermercato. Uhm, una bandiera americana. Degli strani poster surrealisti […]» –, possiamo scegliere cosa portare con noi dello scrittore che abbiamo letto e dello scrittore che abbiamo vissuto attraverso il film.
Immagine di copertina by Dean Lewis