Sanremo Indiscreto: prima parte (1951-1967)

In Musica

Gli amori di Nilla Pizzi, il reggiseno di Betty Curtis, la triste storia di Luigi Tenco. La scena e i retroscena del Festival e dei suoi protagonisti

Il festival della canzone italiana sotto i riflettori e dietro le quinte. Breve storia in due puntate, pettegola quanto basta, dell’odiosamata kermesse. Si va a incominciare.

1951 – Nilla Pizzi
Alle origini di tutto c’è lei, Adonilla Pizzi in arte Nilla (1919-2011), bolognese di Sant’Agata e regina della canzone. Che trionfa nella prima edizione con Grazie dei fior. È anche seconda e terza in coppia con Achille Togliani, il bell’Achille seduttore di ballerine. Nilla ha una storia con lui – ne ha avuto una anche con Luciano Benevene – che fa ingelosire il maestro Cinico Angelini, datore di lavoro e amante ufficiale. Flirt e canzoni: Nilla torna a fare il pieno nel 1952, prima classificata con la patriottica Vola colomba che piace tanto alla Dc, seconda con Papaveri e papere che il Pci usa per la sua campagna elettorale, terza con Una donna prega che accontenta le parrocchie. Quando, qualche anno dopo, contende Gino Latilla alla consorte Carla Boni, Angelini la caccia dalla sua orchestra. Poco male, Nilla mantiene intatta la popolarità per tutto il decennio, poi emigra ad Acapulco dove apre un night per miliardari, tra i frequentatori c’è anche Frank Sinatra.

1954 – Gino Latilla
E ti pareva che non fossero tutte belle le mamme del mondo quando un bambino si stringono al cuor? Il barese Gino Latilla (1926-2011) nel 1954 s’illumina di melenso e vince. È anche terzo con la trucida E la barca tornò sola di Mario Ruccione – ne farà un’esilarante parodia Renato Carosone –, fascistissimo autore di Faccetta nera e La sagra di Giarabub e fornitore ufficiale di molte ugola d’oro sanremesi. Latilla, che ha tentato il suicidio per amore di Nilla Pizzi, avrà buona popolarità per tutto il decennio. Poi diventerà dirigente Rai. Negli anni Ottanta tornerà agli onori delle cronache quando si troverà anche il suo nome nella lista degli iscritti alla loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli.

1955 – Claudio Villa
La regina c’è, mancava il reuccio. E nel 1955 arriva il trasteverino Claudio Pica in arte Claudio Villa (1926-1987), figlio di un calzolaio e di un’orlatrice, comunista che si fa cucire le canzoni addosso dal fascista Ruccione: il nazionalpopolare, insomma. Il suo primo Sanremo, Villa lo vince in contumacia con Buongiorno tristezza, assieme al tenorino napoletano Tullio Pane. Nella serata finale infatti dà forfait, ha avuto un malore, chissà se è vero: ma il pubblico lo chiama a gran voce, la giuria acconsente a far portare in sua vece un giradischi sul palco, le signore si asciugano gli occhi e sventolano i fazzoletti, è l’apoteosi. Claudio Villa vincerà ancora tre volte: nel 1957 con Corde della mia chitarra ancora di Ruccione, nel 1962 in tandem con il detestato Modugno, nel 1967 con Iva Zanicchi. Polemico, aggressivo e vittimista, tenace difensore del belcanto contro le schifezze moderniste, il reuccio sarà il rompicoglioni pubblico numero uno di Sanremo.

1958 – Domenico Modugno
L’irruzione della modernità, la rivoluzione o quasi (in quegli anni i veri rivoluzionari, Renato Carosone e Fred Buscaglione, stanno alla larga da Sanremo) ha la faccia del pugliese Domenico Modugno (1928-1994), che fino a quel momento si è inventato cantante siciliano con un suggestivo grammelot meridionale e ha fatto qualche misurata incursione in lingua (Musetto, Vecchio frac).
Dipingendosi le mani e la faccia di blu e volando come un innamorato di Chagall, Modugno trionfa in patria e, cosa mai successa prima a una nostra canzone, conquista la classifica americana, primo per tredici settimane. Nel blu, dipinto di blu vende 24 milioni di dischi in tutto il mondo e Modugno si prepara a rivincere nel 1959 (Piove). Vincerà ancora due volte, nel 1962 e nel 1966, ormai arreso a formule più svenevoli. In quel 1958 ci sono anche l’ultimo successo di Nilla Pizzi, L’edera (i più irriverenti intoneranno una parodia maliziosa: “Son qui, seduta sul bidet, che mi rinfresco l’edera”). E la canzone-scandalo Tua, interpretata con raffinatezze jazz e movenze che ai censori paiono scandalosamente conturbanti da Jula De Palma. Non basta a salvarla l’interpretazione castigatissima della “caramellaia di Novi Ligure” Tonina Torrielli, di lì a qualche anno l’emergente Mina ne offrirà una versione, parola di Edmondo Berselli, gioiosamente scopereccia. Trovate tutte e tre le versione su Youtube, andatevele a cercare.

1961 – Adriano Celentano
Anni di “progresso senza avventure”, come in un fortunato slogan democristiano. Nel 1960 vince Romantica (il “tradizionale” Rascel e l’urlatore Tony Dallara in accoppiata), nel 1961 ancora vecchio e nuovo a braccetto con Al di là: il melodiosissimo Luciano Tajoli assieme alla cotonata Betty Curtis che per urlare a pieni polmoni sgancia i ferretti del reggiseno. Il vincitore morale è però il secondo classificato Adriano Celentano, che scala le classifiche con 24.000 baci.

In quell’anno c’è anche la prima e unica partecipazione a Sanremo di Anna Maria Mazzini in arte Mina, cremonese, studentessa di ragioneria, con Le mille bolle blu. Due teppisti, Celentano e Mina: lui con le contorsioni sul palco, lei con l’aria da finta tonta. La intervista Oriana Fallaci e Mina la prende in giro senza che l’insopportabile toscana se ne accorga. La intervista Mario Soldati e ci casca anche lui. «Che cosa legge, signorina?». «Ah, leggo soltanto Paperino». Lui, con aria grave: «Anche molti intellettuali lo leggono». Mina, candida e sfrontata: «E lo capiscono?»

1964 – Gigliola Cinquetti
Anche qui, una vincitrice ufficiale e un vincitore morale. Prima classificata la minorenne veronese Gigliola Cinquetti che non ha l’età per amare (due anni dopo rivincerà con Modugno, l’età ormai ce l’ha, e allora: Dio, come ti amo!), primo nei negozi di dischi il diciannove Roberto Satti in arte Bobby Solo con Una lacrima sul viso: al festival lo hanno penalizzato perché, in preda al mal di gola, ha cantato in playback. Aria di novità, a Sanremo, anche nella confezione. Chiusa da tempo la lunga era di Nunzio Filogamo (“Cari amici vicini e lontani, buonasera ovunque voi siate”) è il primo festival di Mike Bongiorno, che presenterà per undici edizioni, l’ultima nel 1997. Ed è la prima volta degli stranieri in accoppiata con gli italiani: molti i dimenticabili e i dimenticati (Patricia Carli che vince con la Cinquetti, i Fraternity Brothers, Frida Boccara, Peter Kraus, Richard Moser), qualche medio calibro (Paul Anka, Gene Pitney al fianco dei Rolling Stones nel loro album di esordio) e un grande, Ben E. King che fraternizza con Tony Dallara.

1966 – Caterina Caselli
Da qualche anno, la canzone che vince e quella (o quelle) che si impongono non coincidono più. Qui vincono Modugno e la Cinquetti, si impone Caterina Casco d’Oro Caselli con la sfacciata, esuberante Nessuno mi può giudicare.

Viene eliminato a sorpresa e tra mille polemiche, ma trionfa nelle vendite, Adriano Celentano con Il ragazzo della via Gluck. Eliminato anche l’esordiente Lucio Dalla (Pafff… bum) con gli Yardbirds: Mike Bongiorno li presenta come “I Gallinacci”, nella band anzi nel “complesso” per usare la terminologia dell’epoca suonano Jeff Beck ed Eric Clapton. Scartata infine l’Equipe 84 (Un giorno tu mi cercherai) in accoppiata con gli inglesi Renegades, che dopo aver tentato la fortuna in Finlandia piantano le tende in Italia.

1967 – Luigi Tenco
Il colpo di pistola con cui Luigi Tenco si uccide in seguito all’eliminazione di Ciao, amore ciao marchia a fuoco il festival. Autore senza successo di canzoni meravigliose, Tenco ottiene per tragico paradosso, con un brano onesto e che non meritava l’eliminazione ma che non era fra le sue cose migliori, con un’interpretazione per di più stralunata, la consacrazione postuma.

Molti gli eliminati di peso, in quell’anno: Caterina Caselli con Sonny & Cher (Il cammino di ogni speranza), la bellissima Ma Piano di Gianni Meccia interpretata da Nico Fidenco e Cher, Modugno, addirittura una composizione dell’astro emergente Lucio Battisti, la bruttina Non prego per me interpretata da Mino Reitano e dagli Hollies di Graham Nash. Vince l’insipida Non pensare a me (Claudio Villa e Iva Zanicchi), finaliste alcune canzoni di protesta all’acqua di rose – è la “linea verde” di Mogol, siamo contro ma senza comprometterci troppo – come Proposta dei Giganti (“Mettete dei fiori nei vostri cannoni”) e La rivoluzione di Gianni Pettenati (“Si farà la rivoluzione, neppure un cannone però sparerà”), i Rokes e Lucio Dalla fanno saggia propedeutica scaramantica (Bisogna saper perdere), Gian Pieretti e Antoine scopiazzano Dylan (Pietre). La canzone più bella, una delle più belle di sempre a Sanremo, la scrivono Umberto Bindi e Franco Califano: è La musica è finita, la porta in finale Ornella Vanoni.

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