«Ti regalo la mia vita, Veronika»: dieci anni dopo la sua rilettura scenica di Le lacrime amare di Petra von Kant, Antono Latella ci trascina in un vero e proprio viaggio all’interno dell’universo fassbinderiano
Guarire da certe malattie è peggio che esserne affetti, perché lasciano uno strascico di fiacchezza e piccoli malanni da cui non ci si libera più. Così è la fama. I più sfortunati devono conviverci fino alla morte. Altri guariscono, anche se contro la propria volontà. Ma una volta che la fase acuta è passata e ci si ritrova di nuovo fra le persone, non si potrà mai più essere quelli di prima, e l’esistenza grigia e meschina da cui avevamo creduto che la celebrità ci avesse liberati sembrerà un paradiso di delizie a confronto del perenne, quotidiano oblio in cui galleggeremo, eterni convalescenti, fino all’ultimo dei nostri giorni. Peggio ancora, poi, se la fama ce l’ha procurata il cinema della propaganda nazista, come è accaduto a Veronika Voss, la protagonista dell’omonimo film di Reiner Werner Fassbinder da cui Antonio Latella e Federico Bellini hanno tratto questo Ti regalo la mia morte, Veronika, con Monica Piseddu (che con questo ruolo ha vinto il premio Ubu come Migliore attrice), Valentina Acca, Massimo Arbarello, Fabio Bellitti, Caterina Carpio, Sebastiano Di Bella, Estelle Franco, Nicole Kehrberger, Fabio Pasquini, Annibale Pavone e Maurizio Rippa.
Stella ormai tramontata nonostante le sue esteriori pretese di divismo, Veronika è diventata schiava della morfina e della sua crudele neurologa, la dottoressa Katz, che la manipola e la tiene prigioniera per impossessarsi di tutti i suoi beni. Non basterà l’arrivo di un personaggio apparentemente fuori posto come il cronista sportivo Robert Krohn, che cerca in tutti i modi di denunciare e abbattere il muro di dipendenza che la circonda, a salvarla dal destino verso cui corre. Fassbinder è un vero nume tutelare per il Teatro dell’Elfo, che non per nulla gli ha dedicato una delle sue tre sale, e se qualcuno aveva ancora un dubbio che Antonio Latella amasse il grande drammaturgo e regista tedesco questo spettacolo glielo toglierà. Dieci anni dopo la sua rilettura scenica di Le lacrime amare di Petra von Kant, Latella ci trascina in un vero e proprio viaggio all’interno dell’universo fassbinderiano, dove la storia di Veronika è insieme la storia del suo creatore, presente in scena in diverse forme, proiettato sul fondo, interpretato da un attore, citato, esplorato in tutti i cunicoli della sua mente.
L’impostazione scenica, infatti, è tutt’altro che naturalistica e vira piuttosto verso la tragedia, con un coro di gorilla albini che sottopone la protagonista a una sorta di violentissima seduta psicanalitica, costringendola a ripercorrere passo passo la propria vicenda, a riattraversare quel mondo fatto di “Sorrisi, abbracci, sorrisi, baci sulla guancia, sorrisi. Ma perché ci baciamo sempre, noi gente dello spettacolo?” a cui ormai non può appartenere più. Non possiamo dire di essere di fronte a una trasposizione scenica di un film. Qui siamo oltre il tempo della narrazione e anche oltre quello del suo autore, in uno spazio immobile scandito dal ritmo volutamente primitivo del coro che si placherà solo alla fine, a morte avvenuta, intorno a un bel ciliegio cechoviano, in compagnia delle altre eroine fassbinderiane, riunite tutte intorno alla tomba e nel nome di R.W.F. La vena ironica e leggera che Monica Piseddu sceglie di seguire pur in un ruolo così nero è di grande sollievo allo spettatore, che si ritrova ad assistere a uno spettacolo faticoso, a tratti aggressivo, che se si serve dell’elemento tragico lo amplifica però vigorosamente a suon di decibel. Non ci si può nascondere che questa messa in scena risente di una certa pretenziosità intellettualistica, di uno sguardo registico troppo mostrato e compiaciuto di sé. Chi ha amato il film (di cui si consiglia la visione, anche per seguire meglio gli snodi della messa in scena) sa che tanta esibita complessità non è stata per nulla necessaria a Fassbinder per raccontare una storia tenera ed angosciante che qui si stenta a riconoscere, fra il martellare delle musiche e delle luci e il rincorrersi delle citazioni, che impolverano anche l’ottimo lavoro drammaturgico. Infatti è così bella e significativa la frase messa in bocca a Robert Krohn: “Veronika, cazzo, è solo un film, datti una calmata!”.
(immagini di Brunella Giolivo)
Ti regalo la mia morte, Veronika, regia di Antonio Latella, al teatro Elfo Puccini fino al 23 marzo