Jansons-Shostakovich, incontro tra titani

In Musica

Il grande direttore russo ha diretto alla Scala la settima sinfonia di Dimitrij Shostakovich, una delle partiture di riferimento del suo ricchissimo repertorio. Ed è subito evento. Standing ovation inclusa

Quando due titani si incontrano, succede di assistere al concerto più sorprendente della tua vita di quasi trentenne.

E così è avvenuto il 21 marzo alla Scala, con la settima sinfonia di Shostakovich suonata dalla Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks (BRSO), l’orchestra della radio Bavarese, da anni ai vertici delle orchestre di tutto il mondo, diretta da una delle bacchette oggi più autorevoli, Mariss Jansons.

Un’opera, la settima sinfonia, dalla storia affascinante e dolorosa allo stesso tempo. «Un’ora fa ho terminato la partitura di due movimenti di una grande composizione sinfonica. Se sarò in grado di portarla a compimento, se cioè riesco a finire il terzo e il quarto movimento, potrò chiamare il lavoro la Settima Sinfonia. Perché vi dico questo? Ve lo sto dicendo per dimostrare che la vita nella nostra città è normale. Siamo tutti ai nostri posti di combattimento. Musicisti sovietici, miei innumerevoli compagni in armi, amici miei! Ricordate, la nostra arte è in pericolo. Difendiamo la nostra musica, lavoriamo onestamente e generosamente!». Così parlava Shostakovich, alla Radio di Leningrado, il 16 settembre 1941.

La situazione non lasciava certo spazio all’ottimismo: Leningrado assediata dalle truppe di Hitler e un inverno che avrebbe lasciato sul campo 500.000 russi. Lo spirito patriottico di Mitja, come lo chiamavano gli amici, non era solo a parole: fu respinto come volontario a causa della sua forte miopia ma questo comunque non gli impedì di essere arruolato tra i pompieri in difesa del tetto del conservatorio. Il Time del 20 luglio 1942 pubblicherà una foto che è ormai storia: Shostakovich in divisa da pompiere con elmetto e i suoi inseparabili occhiali.

Foto Mariss Jansons K61A4906

All’inizio di ottobre tutti gli artisti ricevettero l’ordine tassativo di lasciare Leningrado. E così, il 15 ottobre, troviamo sullo stesso treno diretto verso gli Urali insieme alla famiglia Shostakovich tra gli altri anche il compositore Dmitri Kabalevskij, il violinista David Oistrach e il pianista Emil Gilels. Tutti sistemati in un piccolo paese sul Volga, Kujbyshev, dove il 5 marzo 1942 si avrà la prima della settima sinfonia, suonata da musicisti del teatro Bolhoi di Mosca, anch’essi sfollati nella stessa località.

Basta questo forse per capire come sia possibile una tale simbiosi tra il compositore di Leningrado e chi lunedì sera lo dirigeva. Per Mariss Jansons dirigere Shostakovich vuol dire tornare alle radici, al suo maestro Mravinskij che diresse gran parte delle prime delle sinfonie del compositore sovietico. Ma anche alla sua infanzia: «Mia madre era ebrea, mio nonno e mio zio furono uccisi nel ghetto di Riga, la mia sorella maggiore deportata in Siberia dal Kgb, io nacqui in uno scantinato; ma non mi accorgevo di quanta bruttezza e quanti pericoli mi circondavano».

L’assedio di Leningrado allora non è più sufficiente e la sinfonia diventa nelle mani del direttore lettone una riflessione “sul male universale, sul dolore innocente e sulla negatività che la vita può riservare agli uomini”.

E la BRSO segue magistralmente Jansons in questa operazione. Sembra di trovarsi di fronte a una compagine di solisti, capaci di una libertà espressiva davvero rara soprattutto se si pensa che in quest’opera solo gli archi sono circa una sessantina. Ad avvalorare le capacità solistiche c’è poi la scrittura di Shostakovich, abilissimo nell’orchestrare anche con pochi elementi per volta facendoli diventare quasi concertanti.

Da segnalare una sezione fiati davvero notevole con passaggi di flauto, ottavino e oboe da star solistiche. Jansons, che li dirige dal 2004, ci svela il loro segreto: «Essendo l’orchestra di una radio, tutti i concerti sono registrati. Per questo tutti i musicisti sono abituati all’idea di dover essere tecnicamente perfetti oltre che indifferenti alla presenza dei microfoni. Di conseguenza, con la qualità musicale ormai assunta come un dato di partenza, possono concentrarsi su interpretazioni interessanti e coinvolgenti».

Vertice della serata è stato il tema con variazioni all’interno del primo movimento, tanto simile al Bolero di Ravel per costruzione musicale. A partire dal ritmo cadenzato del rullante in lontananza, si sviluppa una melodia che sa di pastiche, all’interno della quale si possono sentire ironicamente richiami all’“Andiam da Chez Maxim” dalla Vedova allegra e anche, con un pizzico in più di fantasia, le armonie dell’inno tedesco.

«È la guerra che irrompe improvvisamente» dirà lo stesso Shostakovich che qui dà prova di tutta la sua grandissima maestria di orchestratore, quella che gli permise nel 1927 di vincere una curiosa scommessa con l’amico direttore Nikolaj Mal’ko che lo sfidò a riorchestrare la canzonetta Taiti Trot in un’ora di tempo. Mitja finì dopo 45 minuti.

Il climax scritto in partitura raggiunge con Jansons vette inesplorate, da un pianissimo vicino quasi agli ultrasuoni fino alla poderosa esplosione senza mai cedimenti di tensione. E lo stesso avviene anche per tutte quelle sezioni all’interno della sinfonia in cui Shostakovich è capace di creare tensioni musicali di lunghezze spropositate, retaggio delle sue esperienze cinematografiche e delle colonne sonore scritte per i film di regime.

La bacchetta di Jansons conduce all’interno di questo monumento sinfonico con autorevolezza ma anche umanità. Quando la bacchetta nella mano destra viene presa dalla sinistra e il direttore lettone lascia spazio solo al gesto delle mani, ci si dimentica per un attimo di essere lì a fare una recensione.

Teatro Alla Scala – Dmitrij Shostakovich – Sinfonia n.7 in do magg. op.60 “Leningrado” – Symphonierorchester des Bayerischen Rundfunks – direttore Mariss Jansons

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