Un ballo con Joan Miró

In Arte

Una mostra al Mudec racconta la vita e l’opera di Joan Miró, uno dei giganti del Novecento. Donne, uccelli, costellazioni, “miroglifici” e un inimitabile senso del ritmo che ammaliò Duke Ellington. E pochi sanno che passeggiando per Milano si può ammirare una sua scultura.

Siamo al MUDEC di via Tortona a Milano, dove la mostra Joan Miró. La forza della materia  merita di essere vista, perché è solo immergendoci nella pittura del catalano (1893-1983), che si può arrivare a capire il suo particolare linguaggio.

Sorridi vedendo quadri così apparentemente infantili, solari e scopri invece che sono popolati da mostri che affiorano dagli angoli e insieme vedi i delicati colori pastello che giocano coi forti colori puri ed ecco improvvise, minacciose esplosioni di un nero così violento da diventare brillante, che si trasformano, si sviluppano in note musicali, in versi di poesie. Meraviglia e impermanenza. Barocco e zen.

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Joan Miró, Donna, 1938. © Successió Miró by SIAE 2016

La mostra del MUDEC si apre con una grande sala rettangolare, scura; una parete rossa disegna una curva, intravediamo altre quinte di grigi differenti; intanto si diffondono le note di Blues for Joan Mirò di Duke Ellington e da questo buio mosso emergono i quadri del magnifico Miró. Un bell’allestimento, efficace, e un’esperienza fortemente emotiva, che ci fa ‘fare esperienza’ del genio di Miró e della difficoltà di classificarlo in categorie estetico-critiche definite; tentativo – questo di classificare – difficilmente applicabile a tutti i grandi geni, che scappano via, non stanno in gabbia.

Quest’idea dell’arte di Miró – che coinvolge tanti piani diversi e nasce da un’emozione e ce la comunica – possiamo farcela anche solo andando a spasso per via Senato, a Milano, dove c’è un sua gigantesca scultura: un pupazzone di bronzo, grassone, le mani sono due gigantesche chele, il faccione è rivolto verso il cielo, sembra giocare con le chiome degli alberi del parco di Villa Reale; dietro di lui fa da quinta teatrale la monumentale facciata barocca a doppia voluta del palazzo del Senato.

Di sculture di Mirò è animata Barcellona: c’è Donna e Uccello alta venti metri al Parco Joan Miró, il Mosaico del Pla de l’Os sulle trafficatissime Ramblas e il cimitero di Montjuïc, accanto al magnifico parco dei divertimenti, dove è sepolto.

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Joan Miró, I due amici, 1969. © Successió Miró by SIAE 2016

E poi c’è Maiorca, dove Miró si trasferì definitivamente nel 1956. L’artista ha un legame speciale con l’isola: sua madre era maiorchina, lì s’era sposato con Pilar Juncosa e lì morirà.

Lì racchiude tutto il ciclo della vita, sua e del suo universo immaginario. Non si è ritirato dal mondo, non si è isolato nel suo paradiso, ma ha continuato a raccontarci, da lì, un mondo infranto dalla guerra civile spagnola, dalle dittature, dalla Guerra mondiale, quel mondo che insieme è attraversato dalle meravigliose presenze di donne, costellazioni, uccelli, simboli ancestrali della vita, della libertà, dell’infinito. Tutte le fonti legate alle mitologie mediterranee fanno riferimento alla donna in quanto simbolo di vita e fertilità, alle stelle che segnano il trascorrere del tempo e il ciclo della vita, e agli uccelli, misteriose presenze a metà tra terra e cielo.

Talvolta donne, costellazioni, uccelli sono monumentali come divinità; altre volte sono figurette stilizzate che si trasformano in pittogrammi, miròglifici li chiamava lo scrittore Raymond Quenau e diventano un linguaggio poetico che a sua volta danza sui supporti di carta, di legno, di corda, di plastica, un linguaggio che diventa musica sulle note dei colori.

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Joan Miró, Poesia, 1974. © Successió Miró by SIAE 2016

 

La mostra comprende più di cento opere e attraversa l’intero percorso di Miró a partire dagli anni Venti, dominati dalla rabbia, dalla volontà di «assassinare la pittura… Sono completamente disgustato dalla pittura, mi interessa solo lo spirito puro e uso gli strumenti canonici del pittore solo per essere sicuro che i miei colpi vadano a segno», scriveva.

Eppure, le macchie ocra, i fantasmi disperati, le crepe e le bruciature con cui esprimeva l’orrore della guerra, del dolore, della morte sono solo parte di una più grande composizione piena di colore, di ritmo, di amore, e tutto si inserisce in un equilibrio instabile e meraviglioso tra bene e male, essere e non essere, e tutto si mischia e danza ed è materia, forma e colore e movimento e vita.

 

Joan Miró. La forza della materia, a cura di Rosa Maria Malet Mudec, fino all’11 settembre.

Immagine di copertina: Joan Miró, Donne, uccello, stelle, 1942. © Successió Miró by SIAE 2016

 

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