La commedia di Dyer torna in scena a 50 anni dal debutto in Italia (con la coppia Ricci-Stoppa): questa volta i mattatori sono Massimo Dapporto e Tullio Solenghi
Dopo quasi 50 anni torna sulle scene italiane Quei due, in originale Il sottoscala, la commedia inglese di Charles Dyer che fece la sua parte di storia e scandalo nel ’69 nella magistrale e cupa interpretazione di due mattatori di chiara fama eterosessuale come Renzo Ricci e Paolo Stoppa, mentre al cinema ci fu un film adorabile di Stanley Donen con Richard Burton e Rex Harrison fresco di My fair lady: in quanto al box office due buchi nell’acqua.
La specificazione sessual freudiana serve perché i due protagonisti della claustrofobica storia ambientata nel sottoscala di un modesto negozio di barbiere alla periferia di Londra, sono due amabili gay che convivono da tempo, sono come due coniugi litigarelli, alle prese con le memorie di tanto teatro nordico coniugale, da Ibsen a Strindberg fino alle liti da sit com tipo casa Vianello.
Non c’è azione se non nel retroterra psicologico che mostra le crepe di una relazione tra due tipi diversi, uniti solo dalla professione di barba e capelli: uno ha una figlia, frutto di un peccato di gioventù ed attende che venga a trovarlo, così come aspetta anche titubante la convocazione del tribunale per aver fatto qualche sconsiderato atto osceno al femminile in luogo pubblico; l’altro è più tranquillo, il lato femminile del duo, quello che subisce, sopporta ma può concedersi il colpo di testa anche perché soffre di aver perso i capelli, porta un turbante egiziano e solo alla fine esibisce una parrucca dall’improbabile colore.
I due atti, ampiamente sfoltiti e alleggeriti in ogni senso dalla riduzione di Dapporto, sono assai piacevoli da seguire, avendo anche la bella regìa di Roberto Valerio smussato gli angoli. Le evidenti parentele sono con il Vizietto che è posteriore, quindi se mai sono i francesi della Cage aux folles ad aver copiato: ma se lo spettacolo, magnificamente recitato da Tullio Solenghi e Massimo Dapporto, sembra quasi un Vizietto senza lustrini, è perché in questi anni il teatro gay è mutato ed ha perso molte delle valenze da peccato originale cui erano condannati gli omosessuali negli anni ’60 quando i drammi e le feste di compleanno dei cari amici Harold finivano inevitabilmente con espiazione morte o suicidio.
Nel negozio di barbiere di Dyer non succede nulla di ineluttabile, the show must go on, la malinconia che regnava sovrana ed era la ragion d’essere del testo (certo non poco invecchiato), fa capolino nella seconda parte, quando i nodi vengono al pettine e mai metafora fu più appropriata di così.
(Video di Angelo Tumminelli)
Quei due, di Charles Dyer, al teatro Manzoni fino al 17 Aprile