La seconda puntata del diario delle elezioni americane: Donald, la paura che fa Trump, vista di qua e di là dall’oceano, dagli americani e dagli italiani che hanno sulle spalle il ventennio berlusconiano e i guai che ha lasciato nella cultura diffusa. Con una importante differenza tra i due: i primi ad averne timore sono proprio i suoi, i repubblicani, mentre c’è una pancia dell’America che alza muri e si riconosce in ciò che dice
Io e mio marito Dan siamo sposati da ventiquattro anni, morosi da molti di più e ormai siamo arrivati a un punto della nostra relazione che ci esonera dal doverci spiegare certe cose: è, questo linguaggio non verbale, uno dei tanti vantaggi di un rapporto di lunga data. Altri vantaggi includono: non dover cercare altri fidanzati, che con i tempi che corrono diventa sempre più complesso, non doversi mettere il rossetto ogni volta che ci si vede, e sentirsi sempre e comunque completamente a proprio agio. Così ogni tanto, quando ho gli occhi pieni d’America, a Dan scatta un moto di compassione e mi dice: «Perché non te ne vai in Italia per una decina di giorni?».
Infatti ci sono andata. Ho prima dovuto organizzare un paio di cose qui a casa: non è facile lasciare tre figli (di cui uno autistico grave) e due cani (di cui un boxer aggressivo verso tutti i suoi colleghi a quattro zampe), e ho prenotato un Boston-Milano con la compagnia irlandese Aer Lingus, che tra l’altro consiglio per la piacevolissima musichetta che propone prima del decollo e subito dopo l’atterraggio.
Ultimamente, sono sempre andata in Italia per parlare di autismo, specialmente di come viene affrontato questo tema negli Stati Uniti rispetto all’Italia, ma questa volta, visto il clima elettorale americano (qui la prima puntata del mio diario), la maggior parte delle conversazioni con i miei amici è iniziata con la stessa domanda: «Allora, secondo te vince davvero Trump?».
In Italia, uno simile a Trump lo abbiamo avuto per vent’anni, e sappiamo bene cosa succede quando un ricco imprenditore populista, senza scrupoli e senza capacità di analisi politica prende le redini del potere. Sappiamo bene, noi italiani, i danni che possono scaturire da chi, in campagna elettorale, urla a squarciagola concetti semplificati di ideologie fondate sulla paura dell’altro: immigrazione, omosessualità, disabilità, per non parlare del rapporto con tutta la sfera femminile. Uno dei più gravi pericoli di un governo del genere è che certi atteggiamenti anti-tutto non facciano più scalpore e diventino normalità o addirittura parte integrante della cultura generale di un Paese. La superficialità della società italiana post-Berlusconi la si riscontra dappertutto, purtroppo: ormai non ci si scandalizza più neanche nel vedere il figlio di Riina in televisione, per dire.
Questa decadenza culturale spaventa chi, come me e molte delle persone che frequento da questa parte dell’oceano, osserva inerme quello che sta succedendo nel mondo politico. Come in Italia anni fa, anche qui non si parla che di Donald Trump: televisione, radio e giornali sono praticamente ossessionati dall’imprenditore con il ciuffetto, e, chi pro e chi contro, ciascuno analizza nei minimi particolari ogni discorso o commento fatto dal candidato repubblicano. Molti dei miei amici sono seriamente preoccupati dalla possibilità che possa davvero vincere le primarie e diventare presidente. Sono gli stessi amici che anni fa facevano battutine e schiamazzi per il nostro bunga bunga president, e che non mancavano di sghignazzare ogni volta che ricordavo loro di essere italiana. Devo ammettere, nella mia immaturità ormai leggendaria, che a volte provo una fitta di piacere nel vedere loro soffrire come avevo sofferto io allora, e non manco mai di dir loro, con tono da chi la sa lunga: «I know how you feel...».
Le similitudini fra Berlusconi e Trump sono innumerevoli, eppure ci sono alcuni aspetti profondamente diversi, a mio parere. A differenza del Cavaliere, che è riuscito a unificare il centro destra italiano al grido da stadio di “Forza Italia!”, la candidatura del signor Trump ha creato non poco imbarazzo all’interno del partito repubblicano, che non sa più cosa fare per sgattaiolare via dalla scena elettorale. Mi spiegava mio marito, che consulto quando non capisco alcuni passaggi politici, che neanche l’area più a destra del partito appoggia il candidato, e che infatti sta in qualche modo boicottando la sua campagna elettorale.
Donald Trump e il suo entourage spaventano non soltanto Washington, ma anche moltissimi americani che di politica non si occupano se non ogni quattro anni, quando ci sono le elezioni. Trump, a quanto pare, spaventa un po’ tutti, sia quelli a destra che a sinistra. Ma non solo. Spaventa, a volte, anche i bambini, proprio come un drago che spara fuoco dalla bocca. Mia figlia Emma, che ha solo nove anni, l’altra sera a cena mi ha chiesto: «Ma perché devo odiare Trump? Cosa dice esattamente?». Le ho spiegato del muro che vuole far costruire al confine con il Messico, e poi farlo pagare al governo messicano; le ho spiegato quanto parli male delle persone di religione musulmana, di come appoggi le torture ai detenuti terroristi. Lei non ci poteva credere che una persona ‘cattiva’, come ha semplificato lei, potesse un giorno diventare presidente. Mi ha ricordato che la sua amica Yasmine, che è musulmana («Pensa, mamma, non può neanche mangiare il bacon!») è bravissima e aiuta sempre chi ha bisogno, e che un suo amico del doposcuola è messicano e parla addirittura due lingue!
Insomma, anche lei, come tanti di noi, non riesce a capacitarsi del fatto che uno come Trump possa avere tutto quel potere. Non le ho detto, anche perché non volevo che facesse dei brutti sogni, che Trump (come lo era Berlusconi) è così popolare perché in America, come in Italia e anzi nel mondo, ci sono persone che la pensano proprio così, e che sono invece contenti di essere rappresentati dal ‘movimento Trump” (come lo chiama lui). Ma comunque ha deciso: andrà con Dan a fare campagna elettorale negli Stati confinanti il nostro, a bussare alla porta delle persone e incitarle a votare per il candidato democratico.
Un po’ come una piccole testimone di Geova, ma più simpatica.
Immagine di copertina di Tony Webster