Tra immagini e parole: le epifanie di Teju Cole

In Arte

Punto d’ombra di Teju Cole alla Galleria Forma Meravigli non è una semplice mostra di fotografia: abbiamo fatto quattro chiacchiere con il fotografo americano e ci ha spiegato come far reagire immagini e testi per restituire allo spettatore un’esperienza di fruizione sorprendente.

«Sono affascinato dalla continuità dei luoghi, dalla linea del canto che li collega tutti».

Una mostra che quasi commuove per intensità e delicatezza della poesia che si crea tra immagini e parole, in una raccolta di epifanie. È Punto d’ombra, la prima personale dello scrittore e fotografo e critico Teju Cole, che ha trovato nella sua macchina fotografica la possibilità di un’estensione della memoria, per prendere appunti, più evocativi che descrittivi o informativi, di un mondo circostante. E come una poesia, generata dal flow delle immagini e dal salto psicologico che esse chiamano, Cole vorrebbe fosse letta dai visitatori alla galleria Forma Meravigli.

Nato negli Stati Uniti nel 1975 da genitori nigeriani, ha trascorso l’infanzia nel Paese d’origine, per poi tornare negli USA a 17 anni, dove vive tuttora, a Brooklyn;  ha scelto ed è stato scelto dall’Italia e dalla Galleria Forma, insieme al MAXXI di Roma, per esporre il suo primo lavoro da “solista”, curato da Alessandra Mauro, e pubblicare l’omonimo libro, edito da Contrasto.

Muottas Muragl, Svizzera, luglio 2015. © 2016, Teju Cole
Muottas Muragl, Svizzera, luglio 2015. © 2016, Teju Cole

L’Italia, contenuta nelle fotografie accanto a luoghi come la Nigeria, gli Stati Uniti, l’Europa, l’Oriente e altri dei tantissimi viaggi compiuti da Cole negli ultimi anni, era il necessario punto zero, che segue gli insegnamenti dei maestri studiati, apprezzati e interiorizzati nella loro poetica da Cole: Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Guido Guidi, Giovanni Chiaramonte. Come se il viaggio fotografico di Cole si fosse mosso anche secondo un itinerario – non fisico, ma visivo – suggerito da quel Viaggio in Italia che Ghirri costruì coi colleghi negli anni Ottanta e con cui Cole dialoga, offrendo un nuovo sbocco antico alla fotografia classica.

Uno sguardo particolare che Cole ha sviluppato in seguito a una malattia, una papilloflebite che nel 2011 l’ha colpito rendendolo cieco da un occhio e facendogli per diverso tempo perdere la percezione sempre avuta degli spazi e delle profondità e mettendo letteralmente in discussione la sua weltanschauung, la sua visione del mondo. «Negli ultimi tre anni – racconta Cole all’anteprima della mostra – ho viaggiato molto. Per lavoro, per mio interesse personale, per insegnare, leggere, parlare di letteratura e fotografia, e man mano ho iniziato a sviluppare una visione molto personale di cosa questi posti fossero per me». Come un turista, ma atipico, di quei luoghi, alla costante ricerca della partizione, che crea disturbo, tra sonno e veglia.

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Lagos, dicembre 2014. © 2016, Teju Cole

«La difficoltà di qualunque progetto artistico – spiega ancora Cole – è il rispondere a queste domande: perché esso è necessario? Qual è l’energia che lo muove? In che modo ci attrae e ci interessa? Come scrittore e fotografo cerco di testimoniare sia il senso di epifania nel mondo, che è un posto meraviglioso, sia quello del terrore generato dall’abisso storico che sta sotto la sua superficie. Sto cercando di fare la stessa cosa con questa mostra, non solo attraverso le immagini, ma anche i testi».

I testi, che come didascalie accompagnano le singole immagini, non sono fatti per spiegare o per riempire vuoti che l’immagine non sa colmare, non sono parafrasi o illustrazioni, non sempre almeno. Secondo l’idea di Cole sono come un’offerta che invita il visitatore ad avvicinarsi, per poi immergersi nelle immagini e diventar tutt’uno, partecipando di quell’epifania che Cole ha visto e colto, per portarla sempre con sé. C’è un rapporto magico tra parole e fotografia?, chiedo all’autore. «A volte si dice che un’immagine vale più di mille parole. È un’espressione curiosa. Perché dovrebbe “valere”? Si tratta di cose diverse. Insieme, esiste la convinzione che se un’immagine è davvero buona, non ha bisogno di una didascalia. È come dire che se un piatto è davvero ottimo, allora non c’è bisogno del vino. Non è una questione di bisogno, è che a volte si desidera accompagnare il proprio pasto con un bicchiere di vino». E questo, continua Cole, crea una risonanza diversa.

Milano, luglio 2015. © 2016, Teju Cole
Milano, luglio 2015. © 2016, Teju Cole

Trattiene la violenza. È simmetrica, come gran parte dei vertebrati, anzi, è bipede, come l’animale che sta eretto, l’animale che può piangere gli sconosciuti. Questa capacità di evocare è la chiave del surrealismo. Come una balena che spezza la superficie dell’acqua, affiorando all’improvviso per respirare, l’oggetto surreale è oltre o sopra una realtà che forse ci si aspettava rimanesse sotto. Le forbici sono una maschera senza viso

«Per me queste non sono immagini e questi non sono testi o storie. Conta l’energia che c’è tra di loro, come in questo caso in cui l’immagine funziona in una maniera quasi surreale e il testo va in una direzione inaspettata insieme a essa». E se non è una magia, quella che si crea è comunque una tensione che si fa strada dagli occhi a qualcosa di più profondo.

Insieme, il tempo necessario per leggere il testo verrà speso anche di fronte all’immagine. «Questo per me è il modo in cui questo mio genere ha iniziato a evolvere e penso che abbia radici profonde all’interno della mia storia personale, in quanto il più grande amore della mia vita è stato la Storia dell’arte. E poi, da quando sono piccolo, mi è sempre interessato il modo in cui le persone mettono insieme le parole con le immagini. Ora che sono un adulto, che ho tre lauree in ambito artistico, è tornata la questione del mettere insieme parole e immagini».

Tivoli, NY, marzo 2015. © 2016, Teju Cole
Tivoli, NY, marzo 2015. © 2016, Teju Cole

Cole parla di epifanie e di memoria. C’è qualcosa di proustiano in questo lavoro? «Per me o per lo spettatore/lettore?», mi chiede lui. Per entrambi. «Le fotografie mi permettono di entrare in un intenso stato di epifania, ma certo lo permettono anche al mio lettore. Eppure, leggendo i testi, puoi renderti conto che insieme c’è molta libertà e al loro interno ci sono cose completamente differenti. Mito, filosofia, estetica, cerco di spaziare tra i problemi della visione, c’è molto della cristianità, una forma di mito con cui sono cresciuto e che ora comprendo come una chiave interpretativa».

Tuttavia, non ci sono solo storie e vissuto personale. «Racconto anche la storia recente, che cosa è successo quel giorno in cui ho scattato la fotografia, quello a cui mi fa pensare, in un flusso di memoria. Mettendo tutte queste cose insieme creo una sorta di tecnica per avvicinarmi a te, lettore, che stai seguendo il modo in cui si muove la mia mente». Nello stesso modo in cui possiamo leggere un’autrice come Virginia Woolf. «È una sorta di flusso di coscienza, è più di una forma. Se nei miei studi di storia dell’arte ho avuto a che fare con testi molto formali, ora, nel mio modo di scrivere cerco sempre di mettere l’esperienza immediata e personale, così che tu, lettore, possa provare uno shock di riconoscimento. Se dico che in un sogno potresti cadere, o potresti volare, due tra i sogni più comuni, immediatamente pensi a te stesso. Questo è quello che potrebbe succedere. Oppure puoi incontrare una strana combinazione di cose che già sai, e di altre che non sai. Mi interessa moltissimo ciò che è sconcertante e ciò che è surreale, perché  può costituire anche una forma di intimità, credo».

Tivoli, NY, marzo 2015. © 2016, Teju Cole
Capri, giugno 2015. © 2016, Teju Cole

Il tempo della mostra è probabilmente soggettivo. Si può decidere di immergersi nelle singole immagini e/o nelle parole che van con loro, in quel rapporto che rimanda continuamente all’altro, in evocazioni altamente personali, tanto da perdere il senso del tempo, nella ricerca di un’eco comune a luoghi già visti e a un vissuto che va oltre il gusto prezioso dell’autore. È una mostra da visitare con calma, forse negli orari meno affollati, per preservare quell’intimità di cui parla Cole e farsi turbare, toccare, avvolgere dal flusso di forme, colori delicati e angolazioni, in equilibrio sul crinale di quell’abisso che fa anche un po’ paura.

 

Punto d’ombra, a cura di Alessandra Mauro, Galleria Forma Meravigli, fino al 19 giugno.

Immagine di copertina: Brienzersee, Svizzera, giugno 2014. © 2016, Teju Cole 

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