Il Freedom of information act, prima norma italiana sull’accesso ai dati delle pubbliche amministrazioni, potrebbe diventare legge a breve. Oggi nel 73% dei casi non si ottiene ciò che si chiede e nel 65% dei casi ciò avviene perché gli uffici non rispondono, né ai giornalisti né ai cittadini. Ma com’è la nuova legge? Non c’è da esultare secondo Foia4Italy: troppe eccezioni al diritto di sapere, l’Italia è in fortissimo ritardo e, ci dicono gli esperti internazionali, si può fare di meglio
“Siamo a un passo dall’approvazione definitiva del Freedom of Information act italiano” ha dichiarato la ministra per la Pubblica amministrazione Marianna Madia alla fine di aprile. La prima legge italiana sul diritto di accesso all’informazione, prevista dalla riforma della Pubblica amministrazione e il cui nome è ispirato dal testo varato dagli Usa 50 anni fa, potrebbe effettivamente venire approvata entro la metà di maggio. Ma che cosa significa questo provvedimento per gli italiani? Nelle intenzioni della ministra e dello stesso Matteo Renzi, che la promise sia durante le primarie democratiche che nel suo discorso di insediamento il 24 febbraio 2014, il Foia italiano dovrebbe ribaltare il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione, permettendo a chiunque di accedere a una vastissima serie di dati e documenti raccolti dalle amministrazioni pubbliche in nome e per conto dei cittadini.
Sulla carta è un passo avanti notevole anche per i giornalisti e tutti coloro interessati alla trasparenza in un paese che ogni anno vede 60 miliardi di euro bruciati dalla corruzione. L’Italia ha infatti già due leggi che regolano la materia, la legge 241 del 1990 sull’accesso agli atti e il decreto 33 varato dal governo Monti nel marzo del 2013, ma è ancora 96esima su 102 paesi nella classifica RTI di accesso all’informazione. Il ranking è fatto sui testi delle leggi in vigore, ma i dati raccolti sul campo non sono migliori. Il monitoraggio sull’accesso all’informazione condotto dall’associazione Diritto Di Sapere (l’unico finora mai completato in Italia) ha mostrato che nel 73% dei casi non si ottiene ciò che si chiede e nel 65% dei casi ciò avviene perché gli uffici semplicemente non rispondono, alzando inevitabilmente il costo e l’incertezza di cui farsi carico se si vuole procedere con un ricorso.
E guai a pensare che i giornalisti abbiano un trattamento privilegiato perché lo studio, condotto grazie a più di 300 richieste sottoposte a Ministeri, Comuni, Regioni e altre PA da giornalisti, attivisti e semplici cittadini, ha mostrato chiaramente che lavorare nei media non dà nessun privilegio, anzi, spesso aumenta le probabilità di rifiuto. Il fatto che si sia finalmente cercato di scrivere un “Foia” italiano è quindi un’ottima notizia.
Purtroppo però il testo del decreto legislativo circolato fino ad oggi e approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri lo scorso gennaio è talmente pieno di lacune che potrebbe addirittura peggiorare la situazione attuale. I primi a evidenziarle sono stati i membri di Foia4Italy l’iniziativa alla quale hanno aderito 33 associazioni della società civile, da Libera a Transparency International, Action Aid e Cittadinanzattiva.
Tra i problemi maggiori le eccezioni, molto estensive e fomulate in modo vago: tra le più controverse il divieto di avanzare richieste che possano recare pregiudizio a interessi economici o commerciali di persone fisiche o giuridiche che azzopperebbe facilmente qualsiasi richiesta sulle aziende partecipate e le concessioni, la possibilità per gli uffici pubblici di addebitare dei costi ai richiedenti, il diritto delle amministrazioni di applicare il “silenzio-diniego” ovvero rifiutare semplicemente non rispondendo e senza il rischio di incorrere in sanzioni se il rifiuto è illegittimo. Praticamente gli stessi rilievi sono stati sollevati dal Consiglio di Stato, chiamato a esprimere il suo parere sul testo insieme a Conferenza Stato Regioni, Anac, Garante della Privacy e, nelle ultime settimane, il Parlamento attraverso le sue Commissioni sulla semplificazione e sugli Affari costituzionali. Qui una rassegna comparata delle opinioni sul testo di legge.
La buona notizia è che sia Madia che lo stesso Renzi, durante il suo #matteorisponde su Facebook, hanno detto di voler modificare il testo oggi in circolazione per arrivare alla miglior legge possibile. La notizia decisamente meno buona è che il testo che, dopo le integrazioni dei punti sollevati nei pareri consultivi (ma non vincolanti), potrebbe ottenere l’approvazione in Consiglio dei Ministri tra poche settimane, non toccherà le eccezioni. Su queste toccherà ad Anac stilare delle linee guida in grado di restringere il campo delle interpretazioni. In più Anac dovrebbe diventare una sorta di commissione in grado di dirimere le eventuali controversie tra il cittadino e l’amministrazione, senza arrivare al ricorso al Tar. La procedura giudiziale richiede infatti il coinvolgimento di un avvocato e tasse per almeno 500 euro. Quanto basta per scoraggiare la maggior parte dei cittadini, ma certamente anche molte testate, per non parlare dei freelance che ormai sono sempre più numerosi.
Se tutto fila liscio la legge dovrebbe finalmente arrivare in Gazzetta Ufficiale per la fine del 2016, ma diversi punti rimangono aperti. Non è chiaro chi sarà consultato da Anac, più specializzata nella lotta alla corruzione che sui temi dell’accesso e della trasparenza, durante la redazione delle linee guida. La società civile, più volte ringraziata dal Ministro, avrà un ruolo e, soprattutto, sarà coinvolta nel monitoraggio degli effetti della legge? Quando è stata esclusa dal processo i risultati sono stati davvero nefasti come dimostra il testo approvato in via preliminare a gennaio. Alla ministra Madia, che all’inizio di aprile al Festival Internazionale di Giornalismo di Perugia, prometteva “la migliore legge possibile” gli esperti internazionali hanno già risposto con scetticismo.«In Italia può sembrare una rivoluzione ma you’re a little bit late to the party», osserva Helen Darbishire, fondatrice di Access Info Europe e una delle maggiori autorità internazionali in fatto di accesso all’informazione. «Il primo Foia, nato in Finlandia, compirà 250 anni il prossimo 28 settembre. La rivoluzione va avanti da un bel po’ e oggi siete 96esimi su 102 paesi nel rating dell’RTI. Risalire di qualche decina di posizioni non credo sarebbe poi questo gran successo. L’Italia può fare di meglio».
Guido Romeo*
*fondatore di Diritto Di Sapere e promotore di Foia4Italy
in collaborazione con Qcodemag