Al Teatro Ringhiera Serena Sinigaglia mette in scena uno spettacolo ispirato alla strage di adolescenti avvenuta in Norvegia nell’estate di 5 anni fa per mano di Anders Behring Breivik
Dalla cronaca alla letteratura, dalla letteratura alla drammaturgia: quella che si narra in Utoya, in scena al Teatro Ringhiera fino al 15 maggio, è la strage di adolescenti avvenuta in Norvegia nell’estate di 5 anni fa per mano di Anders Behring Breivik. Ne è nato un libro inchiesta, Il silenzio sugli Innocenti, di Luca Mariani, ed ora quella che vediamo sul palco è la versione teatrale scritta da Edoardo Erba.
Sull’isola di Utoya, nel luglio 2011, le giovani leve del partito laburista partecipano ad un campus estivo. Breivik, trentaduenne simpatizzante dell’estrema destra, travestito da poliziotto giunge sull’isola, poco dopo aver realizzato un attacco bomba ad Oslo usato come diversivo, e apre il fuoco contro i ragazzi, uccidendone 69.
Dietro la nebbia che avvolge il palco distinguiamo dei ceppi di legno, tronchi di alberi falciati come le giovani vite dei ragazzi di Utoya, e specchi rotti sparsi per terra, simbolo di vite distrutte, e di una Nazione le cui certezze sono andate in frantumi.
In scena due soli attori, Arianna Scommegna e Mattia Fabris, interpretano tre coppie norvegesi, tutte in qualche modo sono legate ad Utoya, che rappresentano tre facce di una Paese scosso dagli eventi.
Gunnar e Malin sono sposati, non troppo felicemente per la verità, lui ha una ferrea fede socialista, mentre lei è disgustata da qualsiasi fede. La loro figlia Christine è al campus ad Utoya.
Unni e Alf sono poliziotti d’istanza vicino all’isola mentre è in corso la strage, ma per ordini superiori non possono (o non vogliono?) intervenire.
Infine Inga e Peter, due fratelli abituati dai genitori e dai nonni a non impicciarsi, non tradiscono le tradizioni e quando arriva un nuovo vicino, l’autore della strage, non muovono un dito nonostante i sospetti.
Al centro del testo stavolta non ci sono i protagonisti della strage: non vediamo i ragazzi e non vediamo Breivik, ma l’autore ci propone il punto di vista di persone che osservano i fatti dall’esterno, con l’intento di non soffermarsi sulla tragicità dell’evento, ma sulla portata sociale e politica dell’attentato. Sono stati colpiti i valori di un Paese che si vantava di essere pacifico e accogliente, ma che forse così non era. In questa allegoria di vita di coppia norvegese, in cui a parole si portano avanti ideali di uguaglianza, emerge al contrario una xenofobia di fondo (si suppone subito che l’autore della strage sia islamico), e poi, alla scoperta che l’ideatore della strage è un norvegese, “uno di loro”, si arriva alla crisi. La tragedia di Utoya è un punto di rottura nella vita dei protagonisti (la separazione dei coniugi, il riavvicinamento di Peter a sua sorella, le dimissioni di Unni), con solo un piccolo spiraglio finale che può far pensare ad un futuro se non positivo, se non altro più consapevole.
Tutti i personaggi si muovono irrequieti tra i ceppi di legno, ci si siedono sopra, ci salgono, li aggirano correndo in un vorticoso movimento sottolineato dal potente commento musicale del Requiem for a dream di Clint Mansell. E poi il silenzio, l’attesa, il ticchettio degli orologi, il suono sordo degli spari in lontananza. Colpisce per eleganza e semplicità la regia di Serena Sinigaglia che dosa bene l’alternanza di ritmo e di emozioni e non esaspera la drammaticità già insita nei fatti narrati. C’è addirittura dell’ironia ad alleggerire il tema dello spettacolo, e forse a snaturarlo un poco, ma si sorride, soprattutto davanti alla mania di Malin per i gatti e all’ingenuità di Peter. I due attori, senza spingere eccessivamente sulla caratterizzazione dei personaggi, passano dagli uni agli altri con disinvoltura, aiutati dall’uso simbolico delle giacche. Arianna Scommegna non si smentisce dopo i virtuosismi camaleontici di Qui città di M., e Mattia Fabris si dimostra altrettanto versatile. Sono loro la vera colonna portante di uno spettacolo che termina tra applausi scroscianti. E in occasione dell’anniversario dei 20 anni di attività della compagnia del Ringhiera, sempre in ottima salute, non poteva esserci regalo migliore.
Utoya, di Edoardo Erba, regia di Serena Sinigaglia, al teatro Ringhiera fino al 15 maggio