Le due vite di Julieta: Almodòvar firma un bellissimo melò senza lacrime

In Cinema

L’opera numero 20 di don Pedro della Mancha (e del fratello produttore) torna alle atmosfere di “Volver” nel tessere il filo delle relazioni tra madri e figlie, fatte di assenze e presenze: ispirato a tre racconti di Alice Munro (ma è solo il punto di partenza), venato della melanconia di un geniale 65enne che come Woody Allen si è stancato di far solo ridere, “Julieta” ci porta per mano sulle montagne rocciose della vita, tra salite affettive e discese a precipizio verso una dolorosa cognizione del dolore. Ma giudichiamolo sullo sfondo dell’intera opera di Almodovar: lo capiremo, lo gusteremo di più

Bisognerà presto iniziare, per autori particolarmente prolifici, avvezzi a mutar pelle e genere, sensibili al nuovo e al vecchio, al cervello e alla pancia, non a valutare i film singoli ma l’opera omnia. Bisogna assolutamente farlo con Woody Allen che ha 80 anni e circa 50 titoli all’attivo; necessita mettere in lista d’attesa i Coen, che mi sembra siano sulla buona strada; senz’altro urge aprire la serie con don Pedro della Mancha, il famoso Almodòvar (anche qui sono in due, col fratello produttore, quindi brothers) che con Julieta arriva al 20mo, pregiato capitolo della sua brillantissima carriera. E anche stavolta ci fa ancora stupire e commuovere, i verbi che più gli si addicono. Dopo due non gravi incidenti di percorso (La pelle che abito, Gli amanti passeggeri), l’autore della Movida, spudorato e spiritoso frutto del post franchismo, torna ad essere se stesso, cioè a parlare di sentimenti, rapporti fra madri e figli, assenze e presenze: riprende cioè il filo mai interrotto dal suo magnifico Volver.

Il racconto procede a scosse raccontando come si è modificato, nel corso del tempo, il rapporto di Julieta (recitata benissimo da due diverse attrici, la giovane e la matura, Adriana Ugarte ed Emma Suàrez che si scambiano a vista il ruolo in una biblica e bellissima scena) con la figlia, che a un certo punto se ne va e scompare dal radar familiare. Sono due delle tante donne di Pedro che si chiedono che cosa hanno fatto per meritarsi questo, ma ormai sono oltre la crisi di nervi dell’happy hour, perché il regista nato a Calzada di Calatrava nel ’51, quindi 65enne ormai consegnato alla storia (tanto che viene irretito anche nei gossip economici dei Panama Papers) è ormai in ostaggio di una certa melanconia o malinconia dell’età. Dopo aver scherzato a lungo, sente che ora deve dire la verità su quello che sente, e farsi e farci domande importanti, perché gli affetti non resistono per sempre.

Alla base, confessa, c’è una delle sue scrittrici predilette, la canadese Alice Munro, e tre dei racconti presenti nella raccolta In fuga, ma è solo uno start d’inizio, poi Pedro va per conto suo. Alcuni dei suoi personaggi, a volte anche la stessa Julieta, sono sopraffatti dalle cose: se vedessero per strada una bara aperta, ci si butterebbero dentro e amen. Ma non è così semplice. Almodòvar parla anche di incontri e di nascite, e in una bellissima scena su un treno (una delle sue citazioni al classico tandem Hitchcock-Herrmann, il suo musicista di riferimento) unisce il principio e la fine. Poi ci sono macchinose svolte a U della vita, scorciatoie, incontri casuali, sposi, incidenti, che non dobbiamo raccontarvi per filo e per segno perché è il film che vi porta per mano lungo le montagne rocciose di affetti che rischiano sempre di farci perdere l’equilibrio: e a volte lo perdiamo davvero.

Sorretto dal filo rosso e dall’afflato sentimentale delle sue meravigliose attrici (fra cui anche Rossy de Palma, la Jenny delle spelonche dell’Opera da tre soldi del Piccolo) il film si snoda lungo un percorso di tentata cognizione del dolore. Un “drama seco”, come dice l’autore, senza tanto melò (si piange dentro…), senza kitch, non c’è neppure un riferimento gayo, e senza quel grottesco apparso per la prima volta a una vecchia Mostra del cinema con Entre tinieblas, il film che l’ha fatto scoprire: quel che conta è l’andata e ritorno degli affetti, il dare avere delle persone care, le stellette mutevoli dei sentimenti, ma senza ripescare cose dal magazzino del melò classico e mescolando tempi e spazio (e magnifici colori) senza bisogno di ricorrere agli sconti espressivi delle estetiche di comodo, queer o barocche che siano. Rara potenza, rara suggestione e un inizio in profondo rosso.

Julieta, di Pedro Almodovar, con Adriana Ugarte, Emma Suàrez, Rossy de Palma, Inma Questa, Dario Grandinetti

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