In “S if For Stanley” Alex Infascelli ritrae e intervista Emilio D’Alessandro, l’italiano che fu per trent’anni lo chauffeur e il factotum, e uno degli amici più stretti del regista americano. Il biopic sul fuoriclasse brasiliano lo racconta dall’infanzia al momento del trionfo, a 16 anni, ai mondiali di Svezia 1958
Il film biografico, bio-pic per cinefili, studiosi e snob, è un genere che ha avuto in passato un andamento spesso carsico, mescolato a lungo alla fiction perché di per sé ritenuto un po’ noioso, e dai produttori abbastanza anti-commerciale, quindi solitamente bisognoso del gran nome per arrivare al gran pubblico (da Kirk Douglas-Van Gogh nel minnelliano Brama di vivere, 1956, a Ben Kingsley-Gandhi nel kolossal di Attenborough, 1982): oggi, invece, vive un vero e proprio boom, che spazia dal documentarismo didattico puro alla narrazione evasiva più arbitraria, investendo il mondo dell’arte e dello sport, della politica e della scienza, in un tripudio di Hawkins e Goya, Mandela e Armstrong (Lance). Al punto che rassegne di livello internazionale si dedicano al genere, come l’ottimo Biografilm Festival, che celebra dal 10 al 20 giugno la sua 12ma edizione a Bologna (info su www.biografilm.it, che riporta anche iniziative in altre città).
Due titoli di questa categoria approdano ora sugli schermi nazionali e più diversi non potrebbero essere. Uno, S if For Stanley è italiano, diretto da Alex Infascelli (figlio e nipote d’arte, nonno e padre produttori e registi, la zia Fiorella è sugli schermi con il suo ultimo film Era d’estate) e celebra il più classico e adorabile dei “signor nessuno” (prima di questo film, è chiaro), Emilio D’Alessandro, per trent’anni autista, poi factotum e amico sincero di Stanley Kubrick. Un emigrato che da Cassino approda a Londra negli anni 60, patito delle corse d’auto, e dotato di un qualche talento in questo senso, che per caso entra nella vita e nella villa dell’Hertfordshire, la casa del regista dagli anni ’70 fino alla morte, per uscirci solo, in lacrime, accanto alla vedova Christine, dopo la scomparsa di quel genio del cinema nel marzo 1999.
Dalla prospettiva di Emilio seguiamo progettazione e tournage di tanti capolavori, da Arancia meccanica a Barry Lindon, da Full Metal Jacket a Eyes Wide Shut, ma anche il fitto scambio col maestro di idee sulla vita, lettere d’aiuto, biglietti della spesa, attestazioni continue di affetto e richieste ossessive di collaborazione e sostegno, da parte di un datore di lavoro un po’ padre-padrone un po’ fratello maggiore. Un documentario-intervista che parte dal libro di memorie Stanley Kubrick e me, scritto da D’Alessandro insieme a Filippo Ulivieri, ma diventa poi un autonomo ritratto di un uomo timido ma mai intimidito dalla fama e dal talento di chi aveva a fianco. Al quale candidamente rivela che il suo film preferito, tra quelli girati da Stanley è Spartacus (il meno amato da Kubrick, anche perché non era in partenza un suo progetto), e che lo inquieta la vicinanza con Jack Nicholson (lui gli avrebbe preferito Charles Bronson in Shining!). E non manca Janette Woolmore, la saggia moglie britannica di Emilio, che vediamo, anni dopo il loro ritorno in Italia, accanto a lui in un tour nostalgico delle location britanniche e degli studi dove il maestro ricostruiva tutto, dall’Overlook Hotel del Colorado alle risaie sud-vietnamite.
L’altro titolo biografico in questi giorni in circolazione è Pelé dei fratelli americani Jeff e Mike Zimbalist, già frequentatori di Tribeca, Cannes e Los Angeles Film Festival, che racconta invece infanzia e primi trionfi, fino ai mondiali di Svezia 1958 dove esordì 16enne, diventando la star assoluta, del più famoso calciatore della storia, Edson Arantes do Nascimiento detto Dico e poi Pelè: lo interpretano due giovani attori, Leonardo Lima Carvalho (Pelè a 9 anni) e Kevin De Paula, che lo impersona 16enne e già fuoriclasse del Santos e della nazionale verdeoro. Una classica storia di miseria e riscatto, dal poverissimo villaggio di Bauru alla gloria mondiale, sempre nel segno della Ginga, uno modo libero, unico e straordinario di danzare con il pallone che trae origine dalla Capoeira di cui è il passo base e l’elemento unificante tra i colpi d’attacco, le schivate difensive e gli elementi puramente acrobatici. Un film senza colpi di genio e di regia, comunque consigliabile a chi ama il calcio, nonostante la parte dei mondiali in Svezia, e soprattutto la ricostruzione dei match, abbia qualcosa di statico e legnoso: sembra quasi alludere al football “sintetico” come lo vedono, e lo giocano, milioni di ragazzi in tutto il mondo, addicted dei videogames.
S if For Stanley, di Alex Infascelli, con Emilio D’Alessandro, Stanley Kubrick, Janette Woolmore
Pelè di Jeff e Mike Zimbalist, con Kevin De Paula, Leonardo Lima Carvalho, Vincent D’Onofrio, Rodrigo Santoro