Ridevamo tutti all’inizio. Poi ha cominciato a sparare a zero su tutte le minoranze, sulle donne , sui disabili e a macinare vittorie stato su stato. Adesso siamo sprofondati nel silenzioso orrore: sarà lui, Trump, il candidato repubblicano e , chissà, forse il futuro presidente. Anche del mio 50 per cento, quello che vuole una società aperta, multietnica, che assicuri diritti a tutti
È ormai stato detto in tutte le salse, da tutte le testate del mondo: Donald Trump sarà il candidato repubblicano alla Casa Bianca.
Pazzesco.
Ricordo come se fosse ieri la notizia che Trump si sarebbe candidato. Ricordo di aver sorriso come avevo sorriso alla notizia che Berlusconi avrebbe voluto diventare presidente del Consiglio. Era come sentir dire che Maradona vorrebbe portare fuori i miei cani tre volte al giorno, una notizia assurda così. Poi ricordo quando Trump ha cominciato a sparare a zero su tutte le minoranze possibili e immaginabili, sulle donne (ne abbiamo qui parlato qui ,) quando ha cominciato a prendere in giro giornalisti disabili, e tutti a ripeterci che figurati se uno così riuscirà mai a diventare davvero presidente degli Stati Uniti, il Paese più potente del mondo. Ho sorriso meno quando, durante i dibattiti con i duemila candidati repubblicani, a poco a poco li ha schiacciati tutti come moscerini, con quel modo di fare che ha lui così maleducato, con quel sorrisino di chi la sa più lunga. E adesso, a pochi mesi dalle elezioni, eccoci qui, nel silenzioso orrore. L’incubo che Donald Trump possa diventare presidente e rappresentare nel mondo me, la mia famiglia e i miei amici, si trasforma ogni giorno sempre più una realtà. Adesso non fa più ridere.
Non fa più ridere la sua capigliatura da pirla, non fanno più ridere le sue uscite vergognosamente razziste, non fanno più ridere i video di donne nere che vanno a protestare contro di lui e vengono arrestate. Nulla. Adesso non ride più nessuno. O quasi: se la ride, sotto i baffi, la popolazione bianca degli Stati Uniti, quella un po’ ignorante, quella che noi europei vediamo come ‘il tipico americano’. Ma anche loro avranno poco da ridere, quando fra qualche anno verranno fatti disastri in tutto il mondo in nome di quella ‘democrazia americana’, che Gaber giustamente denunciava nel suo lungo monologo Qualcuno Era Comunista.
Il mondo, pensavo ieri sotto la doccia, è da sempre diviso a metà tra quelli che vogliono una società multietnica, una società più pulita, più libera per tutti, e quelli che vogliono mantenere un’identità omogenea dal punto di vista razziale, economico, religioso, tradizionalista. Quelli, insomma, che vorrebbero fossimo fatti tutti della stessa pasta. Non è un fenomeno solo americano, pensavo notando che anche quest’anno sono stata clamorosamente bocciata all’esame per essere bella e magra in spiaggia. Anche in Austria è stato così, qualche settimana fa: il candidato dei verdi ha vinto per il rotto della cuffia, ma avrebbe potuto benissimo vincere il candidato di destra, quello che tutti dicono assomigli un po’ a Hitler per via delle ideologie anti-diversità in tutti i sensi.
Non voglio discolpare gli Stati Uniti, anzi. Però anche in questo strano Paese per anni un bel gruppo numeroso di persone perbene è riuscito a dimostrare che un mondo multirazziale e aperto a una società diversificata è possibile. Penso alla libertà di sposarsi di chi è omosessuale, penso ai diritti, tantissimi, delle persone come mio figlio, nate con una forma molto acuta di autismo e sindrome di Down. Penso a chi vuole adottare anche se è single e cinquantenne, come la mia amica Nina. Ce ne sono tanti, di esempi di civiltà come la vorremmo noi. Sono tutte battaglie che il “mio” cinquanta percento di America ha combattuto e vinto. Per il rotto della cuffia, come è successo in Austria. Ci si sente forti, quando si vincono battaglie importanti, ma anche estremamente vulnerabili, perché ci ricordano di come queste vittorie abbiano in sé un non so che di fortuna, e ci fa rabbrividire sempre a pensare a come avrebbe potuto andare se avesse vinto l’altro cinquanta per cento.
Questa volta, forse, vincerà il gruppo a cui non apparteniamo, il gruppo che detestiamo profondamente, che ci tiene svegli la notte a fissare il soffitto con quel peso nel cuore, quello che non ci rappresenta. E forse, sempre forse, questa terribile vittoria farà in modo che alcuni di noi si tireranno su le maniche e cominceranno davvero a fare qualcosa per cambiare in nostro favore il corso della Storia. Mia figlia Emma sarà sicuramente in prima fila, e ha ragione perché è suo il mondo che le lasciamo.
Sperando che nel frattempo il prezzo da pagare non sia troppo alto e che non ci siano troppe guerre per il mondo e troppi morti innocenti.