Alla base c’è un soggetto di Jean Gruault per Francois Truffaut, che poi rinunciò a farne un film. Tanti anni dopo lo riprende in mano la regista francese Valerie Donzelli (ottimo il suo “La guerra è dichiarata”) che trasforma una vicenda familiar/sentimentale scandalosa in un pamphlet contro le convenzioni sociali. Pasticciato, nonostante Anais Demoustier, appassionata protagonista
Marguerite e il fratello Julien, protagonisti del nuovo film di Valerie Donzelli, si amano teneramente fin dalla prima infanzia: non subito e non sempre consapevoli della natura effettiva di questo sentimento, sono dall’inizio decisissimi a restare uniti, indivisibili, ma quando è chiaro cosa provano uno per l’altra, la famiglia e la società, quella di ieri come quella di oggi unite nella ripulsa dell’incesto, dichiarano loro guerra. Separati più volte a forza, si aspettano e si ritrovano, giurandosi una dedizione reciproca che appare superiore a ogni difficoltà, e arriva fino alla decisione di organizzare una fuga verso la vicina Inghilterra, per rifarsi una vita con altri nomi. L’esito, non sarà loro favorevole.
Alla base di Marguerite e Julien – La leggenda degli amanti impossibili (sottotitolo non esattamente indispensabile) c’è una sceneggiatura scritta nel 1971 da Jean Gruault per François Truffaut, che però abbandonò il progetto due anni dopo. E si capisce il perché. Se in qualche modo nella storia rieccheggia un’atmosfera da melodramma estremo, quasi contiguo al noir o al mistery, che stava nelle corde del grande regista francese (Adele H., La mia droga si chiama Julie, La signora della porta accanto), raccontare una liaison così netta, una parabola così intransigente come quella scelta dai due protagonisti per condurre il loro rapporto, presentava evidenti rischi di cadute d’equilibrio.
Nelle quali è inciampata Donzelli, prima fra tutte l’uso di un registro fortemente paradigmatico, quindi poco empatico, nel celebrare l’amore assoluto come sfida di libertà, duello ideologico, anche un po’ egotistico, contro le convenzioni sociali e storiche. Curiosamente questo esito del film (passato al Festival di Cannes 2015) si colloca esattamente all’opposto del miglior lavoro diretto nel 2011 dalla stessa regista, La guerra è dichiarata, che celebrava un’altra situazione estrema (due genitori che lottano per salvare il figlio, vittima fin quasi dalla nascita di ripetuti tumori al cervello), mettendo però in scena una determinazione sentimentale infinita e istintiva verso il bambino, che era anche gesto d’amore reciproco, altruista. Per nulla dimostrativo.
Il trattamento narrativo e registico scelto da Donzelli, al suo quarto film da autrice, in cui collabora per l’ultima volta col suo (oggi ex) partner nella vita, Jérémie Elkaim, protagonista nel ruolo di Julien, è poi abbastanza faticoso e cervellotico: perché mescola, nell’illustrare la sua tormentata storia ispirata alla vicenda reale di Julien e Marguerite de Ravalet, decapitati nel 1603 per adulterio e incesto, varie epoche tra loro molto distanti, e ambientazioni piuttosto incompatibili: c’è il castello secentesco (vero, dei signori di Tourlaville) coi suoi cavalli, ma anche automobili, radio, elicotteri, e costumi che guardano all’800. L’intento è mostrare che un amore come quello di Marguerite e Julien verrà bandito sempre, in ogni luogo e in ogni tempo: ma non funziona la scelta di ibridare confini temporali e stili di recitazione, passando con disinvoltura dal melodramma all’epica, alla stilizzazione estrema.
E questo nonostante l’impegno veemente, sincero, di una giovane attrice di talento come Anaïs Demoustier, scoperta da Haneke e scelta poi da Guédiguian e Tavernier, premiata a Berlino solo 23enne: che qui si carica sulle spalle il ruolo principale, Marguerite, al centro di una storia d’amore non solo impossibile e sfortunata, ma a tratti anche un po’ inverosimile. Pur essendo ispirata a personaggi reali
Marguerite e Julien, di Valerie Donzelli, con Anais Demoustier, Jérémie Elkaim, Geraldine Chaplin, Aurélia Petit, Frédéric Pierrot