“Tokyo Love Hotel” di Hiroki Ryuichi e “Kiki & i segreti del sesso” di Paco Lèon vengono da mondi lontani, il Giappone e la Spagna: però entrambi, con ironia e intelligenza, sanno descriverci i rapporti complicati che “regolano”, o almeno definiscono, l’eros nella società d’oggi, tra rituali, bizzarrie e qualche assenza. “Porno e libertà” di Carmine Amoroso racconta nascita e ascesa del film hardcore all’italiana negli anni ’70, tra scandalo e sovversione, “Sexxx” di Davide Ferrario documenta il linguaggio del corpo di una compagnia di danza moderna che non disdegna riferimenti espliciti
Chissà in che alberghi vanno quelli che fanno cinema. Gira che ti rigira, tra gemelline indemoniate, arredi napoleonici, clienti psicopatici e fattorini alla Wile E. Coyote, non se ne trova uno normale a pagarlo oro tra Europa, Stati Uniti e Oriente vicino e lontano.
Prendete il bizzarro Atlas, hotel a ore nel sito di Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo, teatro dell’intrecciarsi delle vicende di Tokyo Love Hotel: gestito dall’apatico e rassegnato Toru (Sometani Shota), è un’improbabile e vivace corte dei miracoli in salsa orientale, rifugio e crocevia di disperati o annoiati ronin del sesso, criminali veri e presunti, coppie scoppiate, principi azzurri e sorprese in successione. Tra la freddezza e la grossolanità in finta seta di camere a tema in stile motel, si incrociano le storie di Saya (Maeda Atsuko, leader della girl band AKB48), giovane rock star pronta a tutto per arrivare al successo e di Heya (Lee Eun-woo), escort coreana con la nostalgia di casa, di Satomi (Kaho Minami), silenziosa donna delle pulizie dal torbido passato e della detective Rikako (Aoba Kawai), ossessionata dal lavoro anche nei momenti di maggior intimità.
E poi c’è, ovviamente, il regista Hiroki Ryuichi, un passato nel cinema erotico indipendente, fino al botto nel 2009 con il sorprendentemente poetico April Bride, storia di una donna che si scopre malata terminale alla vigilia del proprio matrimonio. Come in April Bride, anche in Tokyo Love Hotel (il titolo originale è Sayonara Kabukicho) Ryuichi ha il gran merito di girare e raccontare senza alcun bigottismo né morale forzata, contrapponendo al kitsch surreale delle ambientazioni una gran delicatezza nel tratteggiare personaggi e storie, e affidando non a caso alla coppia più anziana del film, in fuga d’amore e non solo, il proprio genuino messaggio di speranza. Le stanze colorate e un po’ kitsch dell’Atlas Hotel diventano allora le scatole di un complesso, gradevole gioco a incastri, e all’approccio iniziale, in apparenza voyeuristico, si sostituisce ben presto uno sguardo tenero e sincero verso un campionario di umanità carico di debolezze e imperfezioni.
A smontare da subito il castello di carta pseudo-scandalistico di un tema scomodo anche per la cultura occidentale (e condito da non poche scene di nudo) è così un umorismo sempre presente ma appena accennato, una lentezza tutta orientale nel ritmo di scene e dialoghi, la straniante e quasi totale assenza di colonna sonora, e soprattutto una concezione del sesso che, tra gioco esasperato e repressione autoimposta, finisce comunque per mostrare sempre le persone per ciò che sono realmente, con estrema naturalezza, in una vulnerabilità che non può lasciare indifferenti.
A cominciare dallo stesso regista, per il quale la definizione di “sorridente bad boy del cinema giapponese” questa volta calza, sì, ma solo fino a un certo punto: le avventure dei protagonisti di Tokyo Love Hotel, accolto da applausi, risate e commozione lo scorso anno al Far East Film Festival di Udine, viaggiano più o meno tutte verso il più classico dei “vissero tutti felici e contenti”, o quantomeno verso un futuro fatto di verità oltre la finzione, di sentimenti semplici oltre le luci e le insegne al neon di Kabukicho.
Tokyo Love Hotel di Hiroki Ryuichi, con Sometani Shota, Maeda Atsuko, Lee Eun-woo, Kaho Minami e Aoba Kawai.
PERVERSIONI, ACROBAZIE E UN PO’ DI SEX-HISTORY
Estate con tanto sesso sugli schermi nazionali, che oltre alle bizzarrie Made in Japan di cui sopra, offrono anche una divertente commedia spagnola e due film italiani che avvicinano l’eros dal lato storico e performativo.
Cinque coppie con problemi (difficoltà di avviare una gravidanza) o singolari inclinazioni (eccitazione da partner dormienti o in lacrime, da fantasie di aggressioni subite, da tessuti speciali) popolano il campione d’incassi spagnolo Kiki & i segreti del sesso del 42enne sivigliano Paco Lèon, partito come attore di serie tv e qui al suo terzo film (prima commedia) da regista e interprete. Siamo lontanissimi dalle cupe ninfomanie alla Lars Von Trier, più vicini semmai ai raffinati puzzle altmaniani o al primo scanzonato cinema di Pedro Almodòvar. Le storie, che non s’intrecciano mai o quasi, rifuggono da volgarità e forzature shock, frequentano qualche delicata sofferenza intima e svelano con calma e col sorriso che si, anche in questi tempi di assoluta libertà sessuale occidentale, tra partner spesso si fa fatica a parlarsi su questi temi, e non si riesce così a confessarsi segrete pulsioni e palesi insoddisfazioni.
Se non bisogna illudersi troppo che psicologia e sessuologia facciano miracoli, con le loro ricette un po’ astratte e libresche, ci resta un po’ di sana e semplice comunicazione tra uomo e donna, che è sempre la benvenuta. Tenendo però conto che l’essere umano è un aggeggio maledettamente complicato, e che ci vuole sempre un po’ d’aiuto di destino e fortuna, come accade agli affiatati e simpatici protagonisti del film di Lèon, da Natalia De Molina a Alex Garcia, da Ana Katz a Belén Cuesta, ai tanti agli altri.
Viene direttamente dal bolognese Biografilm Festival l’interessante documentario Porno e libertà, opera di Carmine Amoroso, uomo di cinema di lungo corso, sceneggiatore di Parenti serpenti di Mario Monicelli, autore nel 1996 di Come mi vuoi con Vincent Cassel, Enrico Lo Verso e Monica Bellucci, e dieci anni fa di Cover Boy: l’ultima rivoluzione, passato alla Festa di Roma. Si racconta con adesione appassionata la nascita e l’affermazione, come autentica forma di contro-cultura, politica ed esistenziale, del porno all’italiana anni 70, specialmente incarnato dalla coppia Ilona Staller, in arte Cicciolina-Riccardo Schicchi, ma qui anche da altri autori “storici” come Lasse Braun (nome d’arte di Alberto Ferro, morto lo scorso anno) e Giuliana Gamba.
Judith Malina, figura storica del Living Theater racconta come negli spettacoli e nella sua vita sia sempre stato centrale il rapporto col corpo, che nasce nella performance ma diventa totalizzante, Marco Pannella spiega come Cicciolina fu votatissima, anche grazie a un pizzico di perbenismo, nelle liste del suo Partito Radicale, tanto da diventare parlamentare, attirando la curiosità dei giornali di mezzo mondo. Malinconici esegeti del contemporaneo, Giampiero Mughini e Helena Verena chiosano la decadenza attuale del genere, e più in generale dei nostri costumi di società in crisi, citando Paris Hilton (“Ha l’espressione assoluta del vuoto, è il personaggio meno erotico in assoluto dell’Occidente”) e la mercificazione dilagante, “che oggi è riuscita a togliere la capacità sovversiva, vibrazionale, che hanno avuto in passato il sesso e il porno”.
Davide Ferrario infine, in Sexxx si lega alla danza contemporanea mettendo in immagini da grande schermo, con curiosa intelligenza e forte dinamismo, lo spettacolo omonimo coreografato da Matteo Levaggi per il Teatro Balletto di Torino diretto da Loredana Furno, protagonisti sei ballerini intensi ed espressivi, oltre che davvero atletici, che meritano tutti la citazione: Kristin Furnes Bierkstrand, Manuela Maugeri, Viola Scaglione, Denis Bruno, Marco De Alteriis, Vito Pansini. Il tema è ovviamente il corpo, non solo nelle sue dinamiche di desiderio, spesso comunque in primo piano, ma anche nella sua collocazione spaziale e spettacolare, temporale, nei suoi giochi con i colori, la luce e l’ombra.
In più c’è il tema forte della visione (cui si allude da subito ricordando il capolavoro di Tintoretto Susanna e i vecchioni), che accomuna il fare cinema e l’attrazione erotica, giocato però da Ferrario all’interno di una efficace e rispettosa riproduzione dello show che alterna passi sulle punte, quasi da performance classica, a molte sequenze di modern dance, ritmate e compulsive, supportate da una colonna sonora ad hoc di Bruno Raco arricchita da hit di Bowie e Ultravox. Sexxx giustappone pulsione sessuale e alienazione, espressione corporea e meccanicità (forse anche mercificata) del sesso, piacere e dissociazione dalla realtà, calore e freddezza. Una riflessione più fisica che concettuale, che culmina nella citazione finale dell’Urlo di Allen Ginsberg. Realizzato in parte con il sistema del crowdfunding, il film è stato presentato al Torino Film Festival 2015.