La polmonite di Hillary presa a pretesto per sostenere che non può farcela, le sparate di Trump e chi ci crede: mica facile spiegare a Rai3 cosa va accadendo a questo giro di boa della campagna per le presidenziali in cui lei è competente ma continua ad essere poco amata e lui applica l’arte della bugia (come da copertina dell’Economist)
Quest’estate sono successe un po’ di cose: la Convention repubblicana, che ha spaventato tutti con quei discorsi di Donald Trump che diceva “Adesso arrivo io e cambierò tutto”, manco fosse il Duce; quella democratica, più interessante, soprattutto il discorso di Michelle Obama che spiega alla Nazione che vorrebbe che le sue figlie (e tutte le bambine) crescessero pensando che sia normale avere una presidentessa donna; Hillary che sembrava la favorita; Trump che sembra avere più il voto popolare, ma meno di quello che serve per vincere. Politica a parte, si è parlato molto della siccità nella regione in cui vivo, che sta ammazzando di sete un sacco di alberi, di Olimpiadi, delle vacanze di Obama.
Personalmente, invece, ho vissuto due esperienze fortissime: la morte del mio cane, avvenuta davanti a me e a mia figlia Emma di nove anni, l’altra mattina alle sette e mezza, e la presenza costante da qualche giorno di una troupe di Rai3 che segue me e la mia famiglia dappertutto. La prima esperienza ha traumatizzato tutti noi e ci ha immobilizzato; la seconda ci ha fatto parlare moltissimo di politica (il programma riguarda, fra le altre cose, le elezioni) e ci ha fatto pulire bene la casa. Due cose che fanno sempre bene all’anima.
Ho parlato molto di politica con il mio amico Gabriel London, che di mestiere fa documentari anche per la fondazione Clinton e che conosce personalmente la famiglia. Davanti a una telecamera quasi discreta, abbiamo parlato a lungo del motivo per cui Trump è così seguito e Hillary invece così poco amata.
Trump, si sa, è un maestro nell’usare le parole chiave per far scattare la molla nelle persone stufe del sistema. A differenza di Bernie Sanders, che anche lui denunciava una catastrofe politica dovuta al potere economico di Wall Street, ma facendo invece scattare quelli di sinistra, Trump ha studiato a fondo il suo elettorato, quello che ascolta le potentissime radio AM razziste e complottistiche seguite tutti i giorni da milioni di persone. È riuscito a fare dichiarazioni allucinanti alla stampa, e a non perdere neanche un sostenitore. Qualsiasi cosa dica, anche la più assurda, rispecchia comunque un’enorme parte della popolazione americana, quella che non osava dire di essere razzista perché il politically correctness ha preso il sopravvento. Trump, che ribadisce che dire quello che si vuole è invece sacrosanto, ha aperto come un fiume in piena la possibilità di esprimersi senza peli sulla lingua: no ai musulmani, no ai messicani, no alle minoranze, no all’aborto, sì a uno Stato polizia, sì alle armi dappertutto, sì al KKK. Insomma, tutte le cose che tutti i suoi seguaci vorrebbero ottenere ma che non osano dire.
Poi Trump ha ripreso a insistere su tutte le teorie complottistiche più assurde, soprattutto sulla famiglia Clinton: che la fondazione dona soldi anche all’Arabia Saudita, che sono corrotti, che predicano bene e razzolano male. Ma anche sull’emergenza ambiente, sulla nazionalità di Obama. Insomma, su tutte quelle storie inventate che per qualche motivo più si ripetono e più sembrano vere (qui l’articolo sulla post truth di Internazionale e qui l’articolo in copertina dell’Economist il 10 settembre).
Dall’altra parte c’è Hillary, che invece sembra occuparsi poco di questi scandali e di queste uscite del suo avversario, e punta invece a parlare in tono più sobrio, intriso di politica (pensate un po’!), di proposte concrete, di cambiamenti importanti. Lo fa senza alzare la voce, senza fare gli show di Trump. E per questo passa quasi in secondo piano nei mass media, alla Cnn, alla Fox News. Perché fa meno scena, perché Hillary è meno divertente, meno esplosiva. È una persona politica, mica un clown! Insisto anche sul fatto che è svantaggiata perché è donna, e ogni errore o debolezza sembra rafforzare l’idea obsoleta e maschilista del ‘sesso debole‘. La polmonite dell’altro giorno, per esempio, sembra essere quasi una condanna a morte della sua campagna elettorale: come fa una donna “così malata” a diventare presidente degli Stati Uniti? La campagna di Trump ha subito lanciato il dubbio che Hillary possa essere molto più malata di quello che dice di essere, forse addirittura un male brutto. Insomma, fanno di tutto per mostrarla debole e incapace.
Gabriel mi raccontava della passeggiata fatta con Chelsea Clinton la settimana scorsa. Lei gli chiedeva consigli su come gestire il fatto che tanti pensano che suo papà e sua mamma siano così corrotti, e come questa cantilena insistente su di loro la faccia sentire ad un tratto vulnerabile, impaurita. La rabbia di un gruppo così numeroso della popolazione contro la sua famiglia deve essere a dir poco inquietante. Lui, mi diceva, avrebbe voluto abbracciarla, ma lei gli ha consigliato di non farlo che chissà cosa dicono poi i paparazzi: che ha un amante e che si abbracciano e poi chissà cosa succede dopo!
Ormai è difficile trovare persone come Gabriel, in questo clima pre elezioni, e cioé una persona dalla parte di Hillary fin dall’inizio. La maggior parte di noi (mi ci metto dentro anch’io) ha iniziato questo cammino verso novembre mettendo la crocetta sul nome di Bernie Sanders, poco convinta della candidata democratica, ma poi ha deciso che Hillary è il minore dei mali. Non è un buon segno.
Forse davvero non ci resta che fare come mia figlia Emma, che davanti alle telecamere si è esibita in una specie di danza voodoo improvvisata per scacciare dalla politica di Evil Trump come ormai lo chiama da mesi.
Immagine di copertina di Cat Branchman