Il “mondo fluttuante” di Hokusai, Hiroshige e Utamaro

In Arte

Abbiamo visitato la grande mostra Hokusai, Hiroshige, Utamaro appena inaugurata a Palazzo Reale. Ecco la nostra guida all’esposizione, per scoprire cosa c’è all’origine della raffinatissima tradizione della grafica giapponese che da due secoli incanta l’Europa; e che faceva esclamare a Van Gogh: “tutto il mio lavoro si basa sulla giapponeseria”.

 

Girando per il labirinto delle sale di Palazzo Reale, a loro volta suddivise da un’infinità di pannelli, si è come risucchiati doucement, doucement in un mondo di delizie, e i pannelli, la folla dei turisti scompaiono. Come diceva la canzone: Questa stanza non ha più pareti, ma alberi, alberi infiniti e ammiriamo le vedute del Fuji, risaliamo i pendii scoscesi della Tokaido, ci fermiamo ad osservare le cascate o la fioritura dei ciliegi, ci aggiriamo nei frenetici quartieri di Edo, entriamo in una casa da tè.

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Utagawa Hiroshige, Fukuroi. I celebri aquiloni della provincia di Tôtômi, dalla serie Cinquantatré stazioni di posta del Tôkaidô (1848-1849 circa)

Ma questo mondo, questo ukiyo, “mondo fluttuante”  è esistito davvero? Come, a un certo punto verso la fine del Seicento in Giappone, nasce questa arte? Rispondere un po’ a queste domande e non restare solo confusamente deliziati, potrebbe aiutare anche a orientarci meglio in tanta bellezza. Il bel catalogo, edito da Skira, curato da Rossella Menegazzo è strumento indispensabile. E’ una strana storia che comincia verso la metà del ‘600 a Edo, l’attuale Tokyo. Lo shogun per controllare i daimyo, i potenti feudatari, pretende che risiedano ad anni alterni nel suo castello. Anche quando tornano nei loro possedimenti, devono lasciare in pegno mogli e figli. Un po’ come il Re Sole con Versailles e allo stesso modo la corte è fastosa. La città si sviluppa, i mercanti prosperano, i daimyo si sprovincializzano, gli artisti accorrono e nasce l’ukiyo, il mondo fluttuante.

Il termine nell’etica buddista significava l’attaccamento ai beni terreni che il saggio doveva fuggire, ma adesso acquista una connotazione tutta nuova: diventa un invito a lasciarsi andare al piacere, come un delicato fiore di pruno alla brezza della primavera. Anche i pittori francesi dell’ottocento che rifiutavano le regole accademiche venivano chiamati con disprezzo Impressionisti e loro se ne fecero un vanto, operando un simile ribaltamento di senso. E non è certo un caso che siano stati proprio gli Impressionisti a scoprire e a diffondere in occidente le stampe giapponesi. C’era il colore che costruiva la forma, il rifiuto della prospettiva, asimmetrie, audaci tagli, il movimento creato dalla linea e poi i soggetti: la città pulsante di attività, i paesaggi, gli attori e le oiran, le etère della  “città senza notte”. La mostra di Palazzo Reale ci introduce in quel mondo.

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Katsushika Hokusai, Campanule e libellula, dalla serie “Grandi fiori” (1833-1835 circa)

Le stampe provengono tutte dall’Honolulu Museum of Art e il percorso espositivo è, come si diceva, un po’ confuso da tutti quei pannelli – ma d’altra parte le stampe sono più di duecento – e dalla scelta di un color carta da zucchero per le pareti con cornici e montaggi color crema; molto elegante, ma quel ton sur ton non fa risaltare i colori delle stampe; e poi è di gusto molto francese e molto poco giapponese. La mostra è suddivisa in cinque sezioni in cui vengono messi a confronto Katsushika Hokusai (1760 – 1849) e Utagawa Hiroshige ( 1797 – 1858) nei soggetti più tipici, come le vedute di luoghi celebri, di paesaggi inconsueti, di cascate, della pulsante vita cittadina, o le illustrazioni di romanzi popolari o i ritratti di attori e eroi. Tra cascatelle, ciliegi in fiore, voli di aquiloni, pini contorti si aprono le case da tè, si gioca a carte, si fa musica, si fa l’amore, si compongono poesie, si commercia, ci si ubriaca, si dipinge, si costruiscono case. Intellettuali, samurai, mercanti, monaci, cortigiane, operai, pescivendoli, tutti hanno un ruolo nella nuova visione del mondo.

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Kitagawa Utamaro, La ragazza precoce (Ochappii), dalla serie “Varietà di fiori secondo il loro linguaggio” (1802)

Ma la grande protagonista è la natura; c’è un genere, il kachoga, in cui figurano solo fiori e uccelli in associazioni simboliche. «…e non è quasi una vera religione quella che ci insegnano questi giapponesi così semplici e che vivono nella natura come fossero essi stessi fiori?», scriveva Van Gogh al fratello Theo. Una sezione è dedicata alle bijn, le bellezze femminili, che occupano un posto speciale nel nostro immaginario. Rappresentano un archetipo di sensualità, di erotismo; il maestro indiscusso è Kitagawa Utamaro (1753 – 1806). Le fanciulle in fiore, come direbbe Proust, sono un incantevole equilibrio di grazia, eleganza e sensualità.

 

Hokusai Hiroshige Utamaro, Palazzo Reale, fino al 29 gennaio 2017

Immagine di copertina: Katsushika Hokusai, Il santuario Honganji di Asakusa a Edo, dalla serie Trentasei vedute del monte Fuji (1830-1832 circa)

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