Da poeta a poeta #8: Italo Testa legge Stefan

In Letteratura

Ecco l’ottava puntata della nostra rubrica “Da poeta a poeta”. Ogni mese un poeta sceglierà un testo poetico di un autore per lui particolarmente significativo e lo commenterà per noi, spiegandoci i motivi della sua scelta. Ogni testo sarà accompagnato da un disegno di Carlotta Broglio, realizzato appositamente per Cultweek, che vuole essere un’ulteriore lettura della poesia. Oggi Italo Testa legge un testo, da lui tradotto, di Jude Stefan

Marzo

salve primavera
in fiore noi ci rovineremo
come un vecchio nel suo letto d’infanzia
la camera e la notte eco alla tomba
scrivendo poesie a imitazione di sé
al mattino i tulipani aperti
ho donato i miei beni
la donna più non ossessiona
attendo il meglio,
finire i propri giorni

 

Mars

salut printemps
en fleurs nous nous ruinerons
comme vieillard couché dans son lit d’enfance
la chambre et la nuit répéteront sa tombe
en train de rédiger un poème à l’imitation de soi
au matin les tulipes ouvertes
j’ai donné mes biens
ne hante plus la femme
j’attends le mieux,
finir ses jours

(da: Jude Stefan, À la vieille Parque précédé de Libères, poésie, Gallimard, 1989, trad. di I. Testa)

 

 

Jude Stefan – poeta segreto

Sull’Almanacco dello specchio Sergio Solmi presentava nel 1972 alcune traduzioni sue e di Antonio Porta da Jude Stefan (Pont-Audemer, 1930), parlandone come di “uno dei rarissimi poeti autentici del nostro tempo”. Nel 1978 una scelta di Poesie dalle prime tre raccolte di Stefan, Cyprès (1967), Libères (1970), Idylles suivi de Cippes (1973) appariva quindi nei Poeti della Fenice di Guanda, a cura di Perla Cacciaguerra e Sergio Solmi. Da allora la vasta produzione in versi, saggistica e in prosa di uno dei più grandi poeti francesi contemporanei, amato da Zanzotto e oggetto di un culto sotterraneo, è praticamente scomparso dall’orizzonte culturale italiano. Un lungo silenzio interrotto soltanto dall’apparizione, quasi alla macchia per le edizioni Il labirinto, di Alma Diana (2000), e Lettere tombali (2005) nella traduzione di Giovanni Palmery.

Poeta sotto pseudonimo – nel cui nome si incontrano Jude the obscure e Stephen Dedalus – Stefan ha definito negli anni una poesia scandita da pochi temi elementari, divaricata negli estremi del sesso e della morte, e continuamente rimodulata da un’intensa sperimentazione linguistica. La forma vocativa, che ne impronta i versi, spesso novenari o endecasillabi, è continuamente mossa da un andamento sincopato, una sorta di enjambement continuo. Parole troncate in fine di verso, abolizione delle virgole, elenchi, furia della nominazione non sono qui mere trovate, ma concorrono a definire il senso di voluttà e dissoluzione che definisce l’opera di un autore primario. Tensione metrica e rivisitazione creativa della tradizione francese danno luogo a versi meravigliosamente plastici, lontani anni luce dal citazionismo e dalla meccanicità di alcuni esperimenti neometrici.

Il sesso, la morte, un senso vivo della lingua, un attraversamento verticale della tradizione e della contemporaneità, l’ossessiva esplorazione formale, un’inesausta febbre vitale: con la sua misura breve, instabile, “Marzo”, il testo che presento qui in traduzione e tratto da À la vieille Parque (1989), è un perfetto esempio di questo ‘poeta segreto’.

 

[Guarda qui tutti gli interventi della rubrica e qui tutti i lavori di Carlotta Broglio]

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