Un bel thriller dalle venature western diretto dallo svedese Daniel Alfredson, sorretto da un ottimo cast e ambientato nelle desolate montagne che segnano il confine tra Canada e Usa. Per trovare ed eliminare un sadico ex sceriffo che tiene in scacco il paese, si coalizzano un vecchio inacidito dal dolore per la morte del figlio, una donna stalkerata dall’uomo e una sorta di scemo del villaggio
Nonostante i 50 premi vinti in una notevole carriera, ormai più che 50ennale, a teatro e in tv prima ancora che al cinema, comprese le quattro nomination all’Oscar per film importanti come Quel che resta del giorno di James Ivory e Nixon di Oliver Stone, l’immagine attoriale di Anthony Hopkins è da molto tempo segnata da una forte e prevalente caratterizzazione dark. Merito (o anche colpa) innanzitutto del suo Hannibal Lecter in Il silenzio degli innocenti, magistralmente diretto da Jonathan Demme, che gli fece vincere la sua unica statuetta (con sequel trascurabile di Ridely Scott), ma anche di un consistente pacchetto di thriller che ha girato da allora, più o meno legati ai lati oscuri dell’animo umano, arrivando fino al fantasy, a Odino che ha impersonato due volte nella saga marvel-branaghiana di Thor o a Matusalemme cui ha dato volto nella ricostruzione pseudo-storico-biblica Noah di Darren Aronofsky.
Intendiamoci, la discesa agli inferi dell’infelice Hopkins non vuol necessariamente dire che gli siano riservate sempre parti di cattivo, villain o addirittura “mostro”: il problema però è che anche quando sta dalla parte giusta, come nell’appena uscito Go with me di Daniel Alfredson – regista di due film della trilogia Millennium tratta dai libri di Stieg Larsson, La ragazza che giocava con il fuoco (2009) e La regina dei castelli di carta (2010) entrambi con Noomi Rapace – c’è comunque in lui qualcosa di oscuro, sbagliato, non condivisibile, eticamente viziato. Si tende a diffidare delle motivazioni che porta a sostegno delle sue azioni, e ancor più dei metodi che usa per combattere un male cui finisce, pericolosamente, per somigliare.
L’efficace ambientazione di Go With me, gelida, piovosa, cupa la sua parte, in un paesino al confine tra Stati Uniti e Canada, è il teatro delle funeste imprese di Blackway, un corrotto ex vice sceriffo dal potere intatto cui dà volto l’ottimo Ray Liotta, uno degli attori più sottovalutati degli ultimi anni. Contro di lui si coalizzano una ragazza soggetta a pesanti episodi di stalking (Julia Stiles, bellezza di granitica resa attoriale) che finalmente decide di vendicarsi vista la reticenza della stessa polizia, Hopkins appunto, un vecchio torturato da un dolore terribile (la perdita poco chiara di un figlio) e un ragazzo piuttosto stupido che lo segue sempre, quasi diventando una sorta di degradato rimpiazzo psicologico. “Scaricati” dal consiglio dei saggi del paese, decidono di affrontare quello che si è rivelato il loro comune nemico, e per di più vanno a cercarlo in montagna, nella sua “tana” impervia, dove campeggia l’immancabile roulotte, segno distintivo di caduta sociale (com’è nella realtà in America) e crimini nascosti.
Alfredson dimostra una qualche propensione sotterranea al western, di cui recupera le movenze di lotta, tra agguati, trappole, duelli, come il tema di un pugno di uomini (e donne) coraggiosi e probi che si mettono insieme per far fronte alla paura, all’inanità collettiva, senza contare il ruolo non secondario che ha una tribù indiana, in triste versione odierna, nel plot. E dal vecchio grande genere, che sotterraneamente riaffiora nel cinema americano d’oggi, il film importa anche la buona concentrazione di fatti senza troppi commenti, prologhi, spiegazioni, morali. Se un senso si può trovare, e amaro come in tutti i western moderni, è che la violenza in quei luoghi sembra quasi un dato genetico, connaturata com’è a uomini e animali di una terra tutta blu e grigia, fatta di pioggia, fango, neve, dove solo la mascolina protagonista offre motivazioni accettabili all’azione, e superando in questo l’intrepido combattente Hopkins.
Go With Me, di Daniel Alfredson, con Anthony Hopkins, Ray Liotta, Julia Stiles, Alexander Ludwig, Lochlyn Munro