La musica che gira intorno/3

In Musica

Ecco la terza puntata della rubrica settimanale di ascolti musicali. Questa settimana parliamo di Bruce Springsteen, The Cure, Solange Knowles e molti altri

Alla terza puntata, dopo l’esperimento del cartellone milanese quasi integrale, La musica che gira intorno” fa un passo indietro e si stabilizza sulle venti scelte settimanali. Ancora una volta, uscite recenti, ristampe e concerti di tutti i generi, dalla classica al jazz al pop e al rock. Con i link a YouTube, in modo che possiate farvi un’idea. Buona lettura e buon ascolto.

 

Nuova Compagnia di Canto Popolare – Napulitane/ In galera li panettieri
La gloriosa Nuova Compagnia di Canto Popolare (*****) festeggia mezzo secolo di attività con l’impeccabile 50 anni in buona compagnia (****), repertorio recente come Napulitane, e classici del gruppo reincisi come l’immancabile Tammurriata nera, Ricciulina, Tarantella del Gargano, Vurria ca fusse ciaola e molti altri. Stona soltanto la versione allstar di In galera li panettieri che vede ospiti la Pfm, Tullio De Piscopo, Corrado Sfogli e Lino Vairetti. Io continuo a preferire l’incisione classica, che trovate qui sotto.

 

Niccolò Fabi – Vince chi molla
Dopo il successo in trio con Daniele Silvestri e Max Gazzè, ognuno per la sua strada. E Niccolò Fabi, quello fragile e introverso del trio, ha scelto la strada di un ritiro in campagna per due mesi, a incidere con solo chitarra pianoforte e poco altro un album nudo e intimo come questo Un insieme di piccole cose (***1/2) che, uscito a marzo, ha vinto adesso la Targa Tenco di miglior disco dell’anno. Introspezione, sentimenti sommessi, il pulsare quieto della vita, l’abbandonarsi. Se Fabi voleva essere il Bon Iver di casa nostra (lui dice di amare anche Ben Howard e Sufjan Stevens) è sulla buona strada.

 

Filippo Vignato – Plastic breath
Assieme al batterista ungherese Attila Gyarfas e al tastierista francese Yannick Lestra, il veneto Filippo Vignato suona in concerto dal 2014. Nell’album Plastic breath (***1/2) il suo splendido trombone – Vignato è responsabile anche di alcuni inserti elettronici – si muove tra elettrico e acustico, in flussi ben strutturati di musica densa. Lev & Sveta, Stop this snooze e soprattutto Provvisorio sono per me le prove migliori. Qui sotto, un trailer del disco.

 

Valery Gergiev – Quadri a un’esposizione di Musorgskij
In tempi di ascolti digitali, i cd e soprattutto i cofanetti di musica classica hanno prezzi più che abbordabili. Questo Russian heart in 17 cd (****1/2), per esempio, che vede Valery Gergiev affrontare in un appassionato corpo a corpo i capolavori della musica russa, ve lo portate a casa con poco meno di 50 euro. Direttore d’orchestra pieno di fuoco ma dal rigore stilistico non sempre ineccepibile, Gergiev (qui con l’Orchestra del Marinskij, con la London Symphony e con la Rotterdam Philharmonic) dà il meglio con la musica patria. I compositori russi ci sono tutti, con la curiosa eccezione di Rimskij-Korsakov. Dai minori (Ljadov, Khachaturian) ad autori importanti ma non troppo eseguiti in Occidente (Glinka, Borodin, Skrjabin). Fino ai grandissimi: Čajkovskij (una splendida Patetica, ma anche l’Overture 1812 e la Francesca da Rimini), Stravinskij (una barbarica, irresistibile Sagra della primavera, L’uccello di fuoco) e Rachmaninov (Seconda sinfonia). I vertici del cofanetto? Musorgskij nell’orchestrazione di Ravel (lo ascoltate qui sotto), un copioso Prokof’ev (l’aspra Suite Scita, la Prima, Terza e Quinta Sinfonia, una selezione del balletto Romeo e Giulietta e le due cantate per i film di Ejsenstein) e un’imponente scelta tra le sinfonie di Šostakovič (soprattutto la Quarta e l’Ottava invise al regime, ma anche la Quinta, la Settima e la Nona). Semplicemente splendido.

 

Bruce Springsteen – He’s guilty (The judge song)/Henry boy
Musica e parole per Bruce Springsteen, che ha appena festeggiato i 67 anni. Mentre l’autobiografia Born to run va in classifica, esce in contemporanea Chapter and verse (***1/2 per gli inediti, **** per il resto) che dovrebbe “sonorizzare” i capitoli del libro. Diciotto brani, non proprio un greatest hits ma molti sono assai famosi, da Born to run a The river a Born in the Usa. E cinque inediti giovanili: due pezzi grezzi registrati nel 1966-67 a nome della sua prima formazione, i Castiles, uno di garage veemente con gli Steel Mill (He’s guilty, lo trovate qui sotto) e due demo del 1972. Quello che ho scelto, Henry boy, racconta un ragazzo di provincia che sogna la grande città: il Boss è dietro l’angolo.

 

Francesco Di Giacomo/Elio e le Storie Tese – La bomba intelligente
Benché sia stata scritta nel 2005, La bomba intelligente (***) è la canzone migliore del 2016 per il Club Tenco. Autore del testo Francesco Di Giacomo, mitica voce del Banco del Mutuo Soccorso che ne incise un demo nella sua cucina, autore della musica Paolo Sentinelli. A undici anni di distanza, la voce di Di Giacomo è finita in Figgatta de blanc, l’ultimo disco di Elio e le Storie Tese, che l’hanno suonata chiamando Mauro Pagani all’assolo finale di violino. La storia della bomba innamorata dell’aereo che la sgancia è carina, non dico di no, ma canzone dell’anno non è un po’ troppo?

 

Frank Zappa – Peaches en regalia/ Dancin’ fool
Genio irregolare e scorretto del rock, chitarrista strepitoso e autore multiforme (dalla musica orchestrale in odore di avanguardia alle perfide “stupid songs”) Frank Zappa è stato come pochi altri musicisti un collezionista di se stesso, un accumulatore di registrazioni come forse soltanto Jimi Hendrix (ma gli archivi discografici in questi anni, dalle Bootleg series di Dylan al materiale di Neil Young, vengono arati con coscienza). Quest’anno sono state pubblicate le sue esibizioni live a New York (1977), Vancouver (1968), Helsinki (1973) e Minneapolis (1970). E un’antologia, Zappatite – Frank’s tastier tracks (***1/2, si poteva fare di meglio) dalla quale estraggo Peaches in regalia (da Hot rats, 1969, tra i suoi album migliori) e Dancin’ fool, attacco frontale alla febbre del sabato sera (da Sheik Yarbouti, del 1979).

 

Antonio Pappano e Anna Netrebko/ Arie di Catalani e Giordano
L’album si intitola Verismo ed è un gioiello (****1/2), malgrado il titolo. Perché Giacomo Puccini, al quale è dedicata una buona metà del disco (“Un bel dì vedremo” dalla Butterfly, “Signore, ascolta” dalla Turandot, “Vissi d’arte, vissi d’amore” dalla Tosca e un ampio florilegio del quarto atto della Manon Lescaut), verista non lo è proprio, come non lo sono Boito e Ponchielli. Pazienza, restano Cilea e Leoncavallo, Giordano e Catalani. E restano, soprattutto, la sapienza orchestrale di Pappano, l’eccellenza dell’Orchestra di Santa Cecilia e lo splendore, la duttilità e l’espressività di Anna Netrebko, che neppure il non eccelso marito Yusif Eyvazov nei duetti riesce ad appannare.

 

Nick Cave – Girl in amber
Con i Bad Seeds, il suo gruppo, in mano a Warren Ellis dopo l’abbandono di Mick Harvey, le chitarre sono quasi scomparse e tappeti di synth e archi la fanno da padroni. In questo Skeleton tree (****) dominano i toni cupi, le “ragazze intrappolate nell’ambra“, i messia che scendono dal cielo a schiantarsi in un campo (Jesus alone), i ricordi del passato tossico (Magneto), gli alberi scheletrici e un paesaggio buio che ti ricorda che niente è gratis, il dolore per la morte del figlio che impregna tutte le canzoni. Forse non la migliore delle sue opere, ma l’urgenza espressiva è forte e palpabile.

 

Baustelle – Lili Marleen
Nuovo singolo in free download per i toscani Baustelle, che tacciono da qualche anno (l’ultimo album del 2015, Roma live, non conteneva inediti). Che cosa dire di questo Lili Marleen (**1/2)? Che è una simil Prospettiva Nevskij ambientata sulla Senna piuttosto goffa e pretenziosa, zeppa di citazioni compiaciute (Prévert accostato di volta in volta a Kosma, e passi, e ad Apollinaire e Hoellebecq, “la voce di Bowie su Spotify”), che fonde occupazione nazista e strage del Bataclan. Peccato per i brutti versi “Ragazzi terribili delle SS/ hanno già fatto irruzione in hotel/ amore non piangere, vieni con me/ scivoliamo via/ mentre facciamo l’amore/ sentiamo sparare/ voci che gridano il nome di Allah/ il fiato si gela col freddo che fa”.

 

Lucky Thompson – Cherokee/ Tenderly
Ho un debole per Lucky Thompson (1924-2005), jazzista magari non di prima grandezza ma elegante e innovativo, se il suo sax soprano (era tra i non moltissimi a praticarlo) arrivò a influenzare John Coltrane. Una lunga e dignitosa carriera all’insegna del bop e dell’hard bop (suonò anche con Charlie Parker e Miles Davis), un lungo soggiorno in Europa, un triste declino all’insegna dell’Alzheimer. Ora in Germania fanno uscire Bop & ballads (***1/2), registrazioni del 1960, mentre viene ristampato il più felice dei suoi album europei (A Lucky songbook in Europe, ****). Qui sotto lo ascoltate alle prese con due standard, rispettivamente di Parker e di Billie Holiday.

 

Claudio Sanfilippo – Ilzendelswing
Gli ultimi a cantare in milanese sono stati Nanni Svampa ed Enzo Jannacci. Rinverdisce la tradizione Claudio Sanfilippo, 56 anni, con l’album dal buffo titolo Ilzendelswing (***). Il risultato è una manciata di canzoni introspettive (Mi son vün) e di bozzetti agrodolci (Kores e Brill, Milan Coppi Guzzi e Alfa Romeo) suonati benissimo, in uno stile che impasta lo swing con il bluegrass e l’alt-country. Propongo il titolo di testa perché è l’unico che ho trovato su YouTube, ma merita la segnalazione anche la cover milanese (Impermeabil bleu) di un classico di Leonard Cohen, Famous blue raincoat.

 

Solange – Cranes in the sky
Solange Knowles, sorella minore di Beyoncé, non è soltanto una che sa fare andare le mani, celebre il video in cui le suonava al cognato fedifrago Jay-Z. A seat at the table (****), il suo terzo album, è una delle cose migliori di questo 2016. Soul postmoderno raffinato e sfaccettato che suona splendidamente, con uno stuolo di collaboratori in gran spolvero, alcune influenze avvertibili (Prince, Erykah Badu, Minnie Ripperton) e testi non banali. Un album con un forte senso comunitario, «impregnato di cultura nera, che porta alla luce i problemi razziali» senza esasperarli, ha scritto The Guardian. Una ragione in più per apprezzarlo, nell’anno dell’impresentabile Donald Trump.

 

Giulia Mazzoni – The departure/ Space oddity
Si è diplomata al conservatorio e ha il tocco della pianista classica, ma nella playlist di Giulia Mazzoni, toscana di Prato, 27 anni, più che Bach e Beethoven ci sono Sla e Daft Punk. Così, le capita di registrare nella chiesa milanese di San Marco la versione per piano solo di Space oddity di David Bowie e di incidere sempre lì assieme a Michael Nyman, il celebre autore delle colonne sonore di Peter Greenaway, The departure per due pianoforti. Come definire la sua musica? Classica contemporanea suona eccessivo, meglio dire pop classico, lei parla di cantautorato senza parole. Comunque sia, il suo pianismo nell’album fresco di stampa Room 2401 (***1/2) ha maggiore sostanza e suona meno pretenzioso dell’insopportabile Giovanni Allevi. Nel disco, da segnalare su tutte la bella Ellis Island, la cover di Get lucky dei Daft Punk e Truman’s sleep di Philip Glass.

 

Stan Ridgway – The big heat
Targa Tenco per il migliore artista straniero quest’anno al californiano Stan Ridgway, classe 1954, ex frontman dei Wall of Voodoo, uno dei grandi eccentrici della scena americana. Miscela particolarissima, difficile da descrivere ma inconfondibile all’ascolto, la sua: elettronica, dark rock, country, tex-mex sintetico, un’armonica lancinante. E atmosfere fra Blade runner e spaghetti western, con una Los Angeles nerissima, come in questa The big heat del 1986 (****, trovate l’intero album su YouTube) che cita fin dal titolo lo hard boiled di Chandler e Hammett.

 

Juana Zayas – Studio op. 10 di Chopin
Terra anche di grandi pianisti, Cuba. Come Ernesto Lecuona autore di oltre 600 canzoni, il Gershwin cubano (almeno Maria La O dovreste saperla fischiettare), come Rubén Gonzalez del Buena Vista Social Club, come i jazzisti Arturo Sandoval e Omar Sosa, come il morbidissimo pianista classico Jorge Bolet. Alla sua lezione di interprete chopiniano si rifà Juana Zayas, naturalizzata americana – nel suo repertorio ci sono anche Lecuona e Debussy – che suona il 28 ottobre alla Sala Verdi del Conservatorio. In programma molto Chopin, un po’ di Liszt (da segnalare il vertiginoso La campanella da Paganini), e poi Balakirev e Rachmaninov.

 

Mina & Celentano – Amami amami
Mina & Leali – A chi mi dice
A diciott’anni dal fortunatissimo Mina – Celentano, che vendette quasi due milioni di copie, i due capitani di lungo corso della canzone italiana tornano con l’album Le migliori (esce l’11 novembre, ne parleremo). Nell’attesa, le radio e i social sparano il teaser Amami amami, *** (su YouTube ha già fatto, mentre scrivo, 758.362 visualizzazioni). Carino, musica tra Medio Oriente e lambada dell’israeliano Idan Raichel anche alla fisarmonica, testo niente di che con molti avverbi in -mente di Raichel e Riccardo Sinigallia, video multietnico con murales e skateboard girato a Venice, California, da Gaetano Morbioli. Nel frattempo Mina raddoppia comparendo in Non solo Leali – Duetti semplicemente unici di Fausto Leali, sono della partita fra gli altri De Gregori, Arbore, Britti, Baglioni, Ranieri, Tozzi e Ruggeri. La canzone è A chi mi dice (**1/2), finora oltre 145mila visualizzazioni, routine anche vocale per un addio.

 

Bill Frisell – When you wish upon a star
Grande chitarrista jazz a suo agio con l’avanguardia (John Zorn), abile e personalissimo nel rivisitare i generi, delicato e lirico nelle sue collaborazioni con le rockstar (ascoltatelo accompagnare Marianne Faithfull in quel capolavoro che è Strange weather, ****), Bill Frisell ha pubblicato all’inizio dell’anno lo splendido When you wish upon a star (****), in cui rivisita la musica dei film e delle serie tv d’antan. Nino Rota, Ennio Morricone, Elmer Bernstein, Henry Mancini, Bernard Herrmann. Film come Il buio oltre la siepe, Psyco, Il padrino, 007-Si vive solo due volte, C’era una volta il West, il Pinocchio di Walt Disney. E canzoni evergreen come The shadow of your smile, Moon river, When you wish upon a star. Le presenta il 30 ottobre al Blue Note: con lui la splendida cantante Petra Haden figlia del grande bassista Charlie, Thomas Morgan al basso e Rudy Royston alla batteria.

 

Immanuel Casto – Who is afraid of gender?
Immanuel Casto, bergamasco della Valseriana, e Romina Falconi, romana di Torpignattara ed ex corista di Eros Ramazzotti, duettano in questa dance ironica e divertita (***), che non rinuncia a provocare ma smorza i toni rispetto alle precedenti sortite, chessò, Tropicanal o Che bella la cappella per citarne solo due a caso. Who is afraid of gender è nell’ep Alphabet of love, *** (fra gli altri brani anche Beauty and the priest e Deepthroat revolution), presentato in anteprima a fine settembre su Pornhub.

 

The Cure – Boys don’t cry/ Friday I’m in love
Non fanno un album dal 2008, ma sul palco sono più che mai attivi e i loro concerti godono ottima reputazione: tre ore tirate di set, l’ampio repertorio lo consente agevolmente. Attivi dal 1976 e classificati di volta in volta come post-punk, new wave, dark, addirittura goth, gli inglesi Cure e il loro leader Robert Smith rifiutano di farsi incasellare e restano una delle grandi rock band in circolazione. Per due giorni, l’1 e il 2 novembre, li potete ascoltare al Mediolanum Forum.

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