La regista Anne Fontaine racconta in “Agnus Dei” la terribile Polonia post-bellica e il dramma di un gruppo di “sorelle”, che si ritrovano incinte dopo una brutale incursione di soldati sovietici. Chiamata al convento per assisterle, quando i parti sono imminenti, la giovane dottoressa francese Mathilde (Lou de Laage, ottima) si troverà a fronteggiare dilemmi religiosi e crisi di vocazione, tra cui la sua
Agnus Dei o il film sulle suore in dolce attesa: così potrebbe essere ricordato l‘ultimo lavoro di Anne Fontaine, che più che una versione con la tonaca di 17 ragazze è un’impietosa fotografia di una pagina di storia (e della morte di Dio) poco nota. Nel 1945 in una Polonia scarnificata dalla Seconda Guerra Mondiale, una suora attraversa quel che è sopravvissuto di un paesino che non ha forse mai conosciuto, per chiedere aiuto alla Croce Rossa francese: nel convento una donna rischia la vita. Non paga del rifiuto ricevuto, riesce a suscitare la coscienza di Mathilde (splendida Lou de Laage), medico di primo pelo in missione che, contrariamente al protocollo, la segue attraverso i boschi fino al monastero.
Qui, in un’atmosfera di religioso silenzio e cieco misticismo, una sorella travaglia e la giovane si vede costretta a procedere a un parto cesareo. La scena è ritratta con una pulizia e un’osservanza, che unite alla totale mancanza di spiegazione dell’evento fanno sorgere il dubbio che si tratti di una strana messa in scena della natività (non a caso la vicenda prende luogo proprio nel mese di dicembre).
Ben presto si scopre però che sei suore e una novizia sono prossime al miracolo della vita, a causa dei “salvatori” sovietici che decisero, nove mesi prima, facendo irruzione nel convento, di prendersi una pausa dalle fatiche della guerra. Improvvisamente catapultate nella storia, le sorelle, che alla vita fecero solo una richiesta, di essere lasciate in pace, si trovano a fare i conti con qualcosa di più certo e rumoroso di Dio; ma come conciliare le gioie della maternità con l’essere spose dell’Onnipotente?
Da questi dubbi metafisici prende il là un’opera che si muove sul binario di una dicotomia, in cui il giovane medico si trova nei confronti delle sorelle in un rapporto di totale estraneità, per lingua e nazionalità, credo comunista, razionalità. Alla sua attitudine illuminista fa da contraltare la bigotta religiosità delle suore, alcune delle quali riusciranno, non senza un prevedibile flagello interiore, a mettere Dio tra parentesi.
Alla fredda cromia dei muri nudi di un convento, che più che una dimora di Dio pare una casa disgraziata, si oppongono le scappatelle di Mathilde col superiore e i suoi discorsi intorno alla guerra e all’amore. Una fotografia che si potrebbe dichiarare manichea per un uso insistito delle polarità chiaro-scuro identifica in Mathilde la grazia e la luce; e non sarà certo un caso se la scena in cui la giovane regge in braccio un neonato, cullandolo, non possa non far pensare a corrispondenze mariologiche. Agnus Dei aspira e riesce ad essere un’ottima interrogazione storica infarcita di dubbi metafisici costruita attorno ad un ritratto femminile che fortunatamente riesce a non (s)cadere nell’epopea proto-femminista.
Un’estetica fredda e scarna – che richiama alla mente il bianconero di Pawel Pawlikowski nella sua narrazione di una suora pentita o il massacro degli innocenti di Kreutzweg, è potenziata da una ambiguità di fondo su chi siano Les Innocentes del titolo: le suore, i bambini che portano in grembo o la crocerossina che tenta di fare quel che può in circostanze straordinarie? Dopo vari ritratti femminili, Fontaine si misura ora con la più matura delle sue creazioni rosa, offrendo un ritratto perturbante della vita monastica, che per efferatezza e violenza ci richiama alla mente le Magdalene di Peter Mullan: nonostante qui l’atrocità consista nell’assenza, nella speranza di un segno da un Dio che si attende come un novello Godot, più che come uno sposo fedele.
Agnus Dei, di Anne Fontaine, con Lou de Laage, Agata Buzek, Agata Kulesza, Vincent Macaigne, Joanna Kulig